Questa mattina sono stati resi pubblici i dati dello studio epidemiologico realizzato da Arpa Piemonte su una porzione di residenti nella frazione di Spinetta Marengo a ridosso del polo chimico.
Già in passato le precedenti indagini riguardanti la zona della Fraschetta a Spinetta avevano fatto emergere risultati allarmanti (pensiamo allo studio realizzato nel 1997, al progetto Linfa 2006, ai dati sulla mortalità nelle circoscrizioni del 2009).
Questi dati, letti con la lente corretta, dimostrano immediatamente come vi sia una stretta relazione tra alcune patologie (tumorali e non) e le sostanze lavorate e smaltite dal polo chimico del Gruppo Solvay a Spinetta Marengo.
Nel 2012 la Solvay fu costretta a sospendere la produzione di Pfos – perfluoroottansolfonati, vietati dalle normative e dalle convenzioni internazionali – ma si sa, il profitto vale ben più della salute e fu così che si iniziò a produrre il componente fluorurato C604 senza che vi fosse la benché minima garanzia ambientale. Ed è proprio per ampliare la produzione di questo componente che recentemente Solvay ha chiesto alla Provincia un’AIA (Autorizzazione Integrata Ambientale).
A partire dai drammatici dati emersi oggi, e senza dimenticare gli scandali che hanno costellato il passato della multinazionale belga, come Fridays For Future Alessandria, chiediamo che, non solo non venga autorizzata la costruzione dell’ampliamento dell’area produttiva di Solvay, ma che si inizi seriamente a mettere in atto la bonifica della zona della fraschetta.
Siamo di fronte all’ennesimo esempio di un sistema che, nel nome del profitto per il profitto, ha schiacciato e messo in ginocchio interi territori.
Ecocidio, biocidio, disastro ambientale, parole che stanno entrando troppo “dolcemente” nel lessico e nel linguaggio comune, e che si traducono nel fatto che nascere in determinati territori segna in modo drastico la possibilità e la qualità della vita che si potrebbe avere.
Il ricatto tra salute e lavoro deve essere definitivamente espulso dal dibattito pubblico, non è più accettabile perché – mutuando uno slogan coniato a Taranto – “tutta la chimica del mondo non vale una sola vita”.
Dobbiamo, inoltre, stare attenti a non farci ingannare dalle cosiddette operazioni di green washing: non può essere normale che chi devasta i nostri territori sia lo stesso che per ripulirsi l’immagine, più che la coscienza, instaura collaborazioni con le scuole, a cui dona attrezzi da laboratorio o lavagne lim, ospita gite organizzate per visitare il polo chimico fino alla paradossale istituzione della “giornata del cittadino Solvay per la cura dell’ambiente”. Non basta tingersi di verde e sbandierare un animo fintamente ecologista per evitare di assumersi le proprie responsabilità!
Il modello di sviluppo che ha scavalcato e schiacciato diritti e vite in nome del profitto, il modello che sta condannando la terra all’agonia, deve pagare il conto del disastro. Gli utili, e non sono pochi, devono garantire la transizione ecologica, le bonifiche, la messa in sicurezza dei territori sotto tutti i punti di vista. I miliardi guadagnati sulla nostra pelle devono garantire la riconversione ecologica del polo chimico e la bonifica dell’intera area.
Chi ci condanna deve pagare.