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Ripartire dalle ferrovie abbandonate

Nella foto - Laboratorio Sociale Alessandria

di Domenico Finiguerra da comune-info.net

Tav in Val di Susa, Terzo Valico, Tav in Pianura Padana, forse anche Tav tra Napoli e Reggio Calabria. Autostrada Orte-Mestre, autostrada Bre-Be-Mi, autostrada Cremona-Mantova, autostrada tirrenica, autostrada addirittura tra Broni e Mortara. La politica è ossessionata dalla velocità e dalle nuove autostrade. E dai miliardi di euro che gli girano attorno.

Da vent’anni almeno assistiamo a show televisivi in cui si tracciano nuove vie di comunicazione. Pennarellone in mano, cartina alla lavagna e via con la fantasia! “Questo porto lo mettiamo in collegamento con questo polo logistico. Questa valle la facciamo diventare il corridoio d’accesso alla camera del mercato globale. Questo ponte finalmente unirà Scilla e Cariddi”.

Ubriachi di parole roboanti che illustrano progetti faraonici, ci siamo distratti e abbiamo perso il contatto con la realtà che ci siamo lasciati alle spalle. Non vediamo quello che abbiamo in disuso, dimenticato, dismesso. Sono le linee ferroviarie abbandonate. Ne abbiamo ben 196. Cui dobbiamo aggiungere anche le 17 linee incompiute. Alcune sono lunghe centinaia di chilometri. Altre sono brevi congiunzioni. Un reticolo carico di storia, vecchi nervi di un paese che si inerpicano su montagne, seguono coste lacustri e marittime, attraversano isole, uniscono regioni.

C’è da restare a bocca aperta nello scorrere le immagini e i tracciati che troviamo sul sito www.ferrovieabbandonate.it. Strade ferrate che ci indicano la possibile via da seguire per riprenderci importanti spazi nel settore turistico mondiale. Come il progetto costruito in Sardegna lungo la linea Mandas-Gairo-Arbatax dove è possibile affittarsi anche il treno. Oppure come le decine di percorsi ciclopedonali che si potrebbero recuperare a fini sia ricreativi che di mobilità quotidiana.

Purtroppo molte delle tratte abbandonate sono, o erano fino a pochi mesi fa, anche efficienti ed utilizzate tratte pendolari ancora efficienti. Rami morti definiti tali da strategie di impresa che hanno badato più al business che al servizio pubblico per lavoratori e studenti. Oggi sono centinaia di migliaia le persone che, da Cuneo a Reggio Calabria, sono costrette a prendere l’automobile per andare a riempire autostrade o statali, oppure ad attendere lungo le banchine treni che arriveranno tardi o proprio non arriveranno mai. A meno che…

A meno che non sia il Ciufer a prendere velocità. Il Comitato Italiano Utenti delle Ferrovie Regionali che da qualche tempo sta tessendo una rete su tutto il territorio nazionale per rivendicare e pretendere il diritto alla mobilità equa e sostenibile, per lottare contro la chiusura di altre tratte a rischio o per avere un servizio pubblico degno di questo nome. Lo trovate qui: www.ciufer.it. Per gli abbonamenti basta solo una piccola dose di buon senso.

Questo articolo è stato pubblicato anche su Il Fatto Quotidiano