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Ecco il lavoro che porta il Terzo Valico

Nella foto - Laboratorio Sociale Alessandria

a cura della redazione di notavterzovalico.info

Sono passati quasi due anni ormai dall’inizio della stagione di espropri dell’estate 2012. Contemporaneamente a quei tentativi, tutti falliti, di impadronirsi con la forza dei terreni necessari alla realizzazione dell’opera, hanno cominciato a circolare mezzi delle aziende incaricate dei lavori per effettuare in un primo tempo i sondaggi preliminari e, successivamente, le operazioni di disboscamento, cantierizzazione, bonifica bellica.
Da allora la nostra redazione monitora le aziende coinvolte nei lavori, ne testimonia costantemente la presenza sul territorio, le rende oggetto di approfondite ricerche volte a scoprire sentenze o processi in corso a carico dei loro rappresentanti.
Come si può evincere dalla cronologia degli articoli postati sul nostro sito, si tratta di un bollettino di guerra. Quasi nessuna azienda è risultata esente dall’avere problemi con la legge. In due anni abbiamo scoperto reati ambientali e patrimoniali, truffe allo Stato e l’ombra delle mafie. Nessuno, attualmente, vigila sulle ditte che ottengono i subappalti. Nessuno controlla il modo in cui i lavori vengono eseguiti e i nomi dietro le aziende interessate. Lo Stato, tra Genova e Alessandria, è voltato dall’altra parte. La nostra.

La storia giudiziaria del Terzo Valico ha due possibili narrazioni: la prima, quella ufficiale, parla di un procedimento per truffa aggravata ai danni dello Stato a carico del Sen. Grillo di Forza Italia e dei vertici del Cociv, risalente agli anni ’90 e terminato con la prescrizione anticipata dei reati grazie ad una provvidenziale legge Cirielli. A loro venne contestata la truffaldina gestione dei fondi dedicati ai tunnel geognostici, fino al sequestro dei cantieri avvenuto nel 1998. Recentemente, sempre sui cantieri dei fori pilota, la Corte dei Conti ha avviato un’indagine per un presunto danno erariale. L’indagine, trasferita per competenza a Roma, presumibilmente farà la fine dell’antico processo. Tutto qui. Secondo lo Stato non ci sono altri eventi che permettano di dubitare dell’onestà del general contractor, pertanto nessun motivo per rescinderne il miliardario contratto, ottenuto nel 1991 senza gara d’appalto.

La realtà dei fatti invece ci consegna ben altro. Abbiamo censito ad oggi 15 aziende, una peggio dell’altra. Vediamo quali:

La prima ditta ad arrivare “da fuori” sul nostro territorio è la CTM s.r.l., Compagnia Torinese Monitoraggi. Nell’estate 2012 il Comune di Novi Ligure le affida senza alcuna gara d’appalto la progettazione delle opere compensative per la città. A fronte delle proteste dei liberi professionisti novesi, il Sindaco Robbiano dice di non sapere e non potere nulla sugli affidamenti, scaricando la responsabilità sugli impiegati del Comune. La ditta, occupandosi di sondaggi e non di vero e proprio movimento terra, non risulta coinvolta in procedimenti giudiziari. Ma chi ha buona memoria ricorderà che, come citato nel processo Minotauro e nella trasmissione Presa Diretta di RaiTre, nel 2009 in un summit di ‘ndrangheta ad Orbassano il sindaco PDL di Rivarolo Canavese, Fabrizio Bertot, promette agli ‘ndranghetisti di quella zona i lavori del Terzo Valico, in cambio di voti per le elezioni europee. Bertot viene eletto e va in Europa, la sua giunta comunale viene sciolta per infiltrazioni mafiose. Curiosamente, la prima ditta a lavorare in zona per il Terzo Valico è proprio di Orbassano. Una “coincidenza” che prelude all’arrivo di altri personaggi sulla scena.

Pochi giorni dopo, ai primi di Settembre del 2012, ad Arquata fanno la loro comparsa la RCT e la GEOTEC. Entrambe si occupano di indagini geognostiche e sono abituate a lavorare nei cantieri Tav del Mugello. La RCT dal 2008 è diretta da Daniele Attala, geologo. É sotto inchiesta per gli appalti dei mondiali di sci di Bormio del 2005. Come riportato dal quotidiano La Provincia di Sondrio: “Attala, Broggini e Ruggero sono alcuni dei nomi che figurano nelle Ati, ovvero le associazioni di impresa finite nel mirino dei magistrati in quest’inchiesta che ipotizza reati quali: concussione, associazione a delinquere, abuso d’ufficio, malversazione ai danni dello stato, indebita percezione di contributi pubblici e truffa aggravata ai danni dello stato.” Pronostici rispettati e poca sorpresa da parte di tutti. Gli operai, prima di essere fotografati e pubblicati sui giornali, lavorano senza DPI e smaltendo cemento nei campi coltivati.

La GEOTEC è responsabile delle operazioni di fracking in Emilia Romagna che, secondo studi arrivati con un paio d’anni di ritardo, potrebbero aver causato il disastroso sisma. La pratica di iniettare acqua ad altissima pressione in profondità per eseguire indagini geologiche era notoriamente pericolosa e foriera di eventi sismici, ma praticata perché legale. Gli operai della Geotec sono noti per l’approssimazione con cui svolgono i sondaggi, entrando nei campi sbagliati fregandosene dei mappali. Il loro boss, il geom. Bordignon, viene ricordato per la simpatia con cui cercò di investire i Notav attraversando un presidio con la sua auto a tutta velocità, a Fraconalto, nell’inverno del 2013.

A breve giro, sempre nel Settembre 2012, vengono avvistati a Carrosio i mezzi del Consorzio TreEsse. Esso è riconducibile alla famiglia Lunardi, ex Ministro alle Infrastrutture del Governo Berlusconi. È diventato famoso per la sciagurata frase “con la mafia bisogna imparare a conviverci” ed è diventato ricco per essersi auto-assegnato, in qualità di Ministro, appalti milionari alle sue società come la TreEsse e la Stone. Nessun conflitto, solo interessi.

Nel Marzo del 2013 compaiono i primi mezzi della Lauro s.p.a. di Borgosesia (VC), alla quale il Cociv ha affidato il cantiere del foro pilota di Voltaggio. La Lauro è uno dei più fulgidi esempi di come una media realtà imprenditoriale possa entrare nel giro delle commesse che contano, quelle delle grandi opere. Nel 2010 un’inchiesta scopre che alla Provincia di Vercelli il presidente Masoero, l’assessore ai lavori pubblici Zanotti e il consigliere regionale nonché segretario provinciale del PDL Cortopassi si fanno dare dei “contributi per la campagna elettorale” in cambio di appalti. Il presidente della Provincia Masoero viene anche arrestato. Durante il processo, ancora in corso, si nominano gli imprenditori che hanno pagato e il signor Tarditi, amministratore della Lauro s.p.a. è tra questi: ha elargito una tangente da 20000 euro per avere l’appalto di una strada. La folcloristica legge italiana sulla corruzione vuole che l’imprenditore sia parte lesa in tutto ciò. Il processo, tra un rinvio e l’altro, si avvia felicemente verso la prescrizione degli imputati eccellenti. Nel corso dell’estate 2013, però, la GdF di Torino indaga la Lauro S.p.a. per truffa aggravata ai danni dello Stato. Si tratta della stessa accusa piombata sulla testa dei vertici Cociv e del senatore Pdl Luigi Grillo per lo stesso cantiere di Voltaggio, negli anni Novanta.
Di cosa è accusata la Lauro? Avrebbe messo in piedi un meccanismo di false fatturazioni ottenendo dalla regione ben 10 milioni di euro, girando poi i lavori da eseguire ad una ditta priva di certificazioni, la Co.Ge.Fa. di Torino (quest’ultima è stata implicata in altri scandali in Regione, sempre relativi alla corruzione, anche insieme al gruppo Gavio, come nel caso dei lavori per la variante di Tortona). Ma non è tutto, perché oltre alla truffa ci sarebbero anche delle frodi nelle forniture di materiale per i lavori. Anche nel caso della metropolitana di Torino, come per il Terzo Valico, ci sono delle gallerie da scavare. Anche quelle del capoluogo avrebbero necessitato di resine e armature per consolidare il terreno. Questo materiale sarebbe stato fatturato ma poi non utilizzato, consentendo un risparmio, secondo l’inchiesta, di 1.250.000 €. I soldi per pagare le tangenti, d’altra parte, bisogna pur farli uscire da qualche parte.
Nel mese di Aprile 2014 due operai che lavorano nel cantiere della Lauro a Voltaggio, dopo aver alzato un po’ troppo il gomito in un bar del vicino paese di Gavi, hanno prima infastidito alcune ragazze, poi attaccato una lite con i ragazzi che le accompagnavano, infine investito con l’auto una delle ragazze provocandole una ferita al volto.

A Giugno 2013 è il turno della SIELTE, un’azienda leader in Italia per la progettazione e realizzazione di complessi sistemi radio e telefonici per le infrastrutture come la Tav. Non a caso lavora anche in altri cantieri italiani dell’alta velocità. Sul sito dell’azienda è possibile consultare l’organigramma con i nomi di chi riveste incarichi dirigenziali. Un po’ di ricerche negli archivi storici dei giornali ci permettono di fare chiarezza su chi sono questi signori.
La Sielte è il risultato di diverse fusioni di aziende di telecomunicazioni, che si sono succedute negli ultimi decenni. Tutto parte nel 1971 dai fratelli Alfio e Giuseppe Turrisi, catanesi, che mettono su un piccolo studio di progettazioni. Già 15 anni dopo, nel 1986, possiedono una holding che racchiude diverse aziende, in società con Ilario Floresta. Attraverso un turbinio di compravendite, un complesso gioco di scatole cinesi, riescono a dare la scalata alla Sielte che era già la più importante azienda del settore.
Nel 1994 però, come attestato da un vecchio articolo di Repubblica, Floresta diventa sottosegretario all’economia del primo governo Berlusconi. Si attiva subito per fare in modo che la SIP, di cui con Turrisi è il principale fornitore, spenda di più nei suoi appalti.
Passa alla storia come il primo indagato della seconda repubblica: a Catania i magistrati hanno ragione di pensare che dietro alla sua elezione ci sia un accordo per un voto di scambio con un clan mafioso. Gli arrestano il cugino, ma non parla e tutto viene archiviato nell’impossibilità di provare le accuse.
Con un curriculum così i soci sono sempre nel posto giusto al momento giusto: con Floresta nominato all’Enav, Turrisi viene messo all’aeroporto di Catania, dove concede appalti al figlio di Floresta finendo nella famosa inchiesta sulle tangenti di Finmeccanica.
Il presidente e proprietario dell’80% di Sielte, Alfio Turrisi, è anche a capo della banca di Credito Cooperativo Padana Orientale San Marco. Secondo i magistrati il suo socio se la faceva con la mafia, ma questo non gli ha impedito di diventare Cavaliere del Lavoro e presidente della Confindustria siciliana. Nel consiglio di amministrazione della Sielte, tanto per far capire come si guadagnano gli appalti Tav, siede anche Willer Bordon, ex centrosinistra, ex ministro ai lavori pubblici, ex ministro dell’ambiente.

Nell’estate del 2013 il Cociv rende nota la relazione generale del primo stralcio di lavori del primo lotto dell’opera. I fornitori di cemento scelti sono Calcestruzzi s.p.a. e Italcementi, facenti parte dello stesso gruppo imprenditoriale posseduto dalla famiglia Pesenti.
L’ex amministratore delegato della Calcestruzzi, Mario Colombini, è stato condannato in Aprile a quattro anni dal tribunale di Caltanissetta per una gigantesca frode di cui l’azienda si era resa protagonista. Costruivano opere pubbliche in Sicilia utilizzando un calcestruzzo povero di cemento, ottenendo un risparmio con cui, secondo l’accusa poi decaduta, ma confermata nelle intercettazioni, potevano finanziare le cosche mafiose. Diverse opere, tra cui alcune gallerie, ospedali e tratti di Alta Velocità sono state costruite con questo sistema, che ovviamente le rende pericolose. Il meccanismo della frode consisteva nell’utilizzare una doppia ricetta: la prima, quella corretta, veniva fornita al committente e serviva per le prove di laboratorio, dando sempre esiti corretti. La seconda, segreta, conteneva meno cemento e più materiale inerte, consentendo un grande risparmio che nei cementifici del sud secondo l’indagine serviva a finanziare la mafia.

Nell’Agosto del 2013 a Moriassi e Radimero viene fermata un auto con a bordo strani personaggi. Sono civili, dicono di lavorare per una grande ditta abruzzese che si chiama Di Vincenzo. Sono tre. L’azienda, dicono, è interessata ai lavori del futuro cantiere di Radimero e “sono venuti a dare un’occhiata”.
Il fondatore della ditta, Vito di Vincenzo, scomparso nel 2012, ha allargato il suo gruppo fino a farlo diventare una delle più grandi imprese di costruzioni in Italia. Nel solito complesso gioco di scatole cinesi di cui noi italiani siamo campioni indiscussi, ha fondato una holding, la Igefi, che detiene il 50% di Bonatti holding, che a sua volta detiene il 63% di Bonatti s.p.a.
La Bonatti di Parma, altro colosso delle costruzioni, è quotata al quinto posto in Italia sulle riviste di settore. Socio della famiglia Di Vincenzo, fino alla liquidazione della quota nel 2011, era un certo Callisto Tanzi. I liquidatori di Parmalat s’erano dimenticati per anni di questa partecipazione del valore di 51 milioni di euro.
Con una compagnia del genere non si può che fare buoni affari, e infatti la Bonatti macina milioni di utili, costruendo opere in tutta Italia. Nel 2008, l’impresa viene indagata per aver costruito in Provincia di Crotone case e opere pubbliche utilizzando rifiuti tossici cancerogeni. Almeno, pare, 350.000 tonnellate di sostanze tossiche, nella fattispecie:
“arsenico, zinco, piombo, indio, germanio, mercurio, sostanze tossiche speciali provenienti dagli scarti dell’industria Pertusola di Crotone, che invece di essere smaltiti con le cautele di legge venivano impiegati in edilizia.”
Il materiale è stato impiegato anche nei cortili di tre scuole. La ditta, ovviamente, non ne sapeva nulla.
Questa bazzecola non ha impedito alla Bonatti-Di Vincenzo di continuare a lavorare e prendere l’appalto per i lavori alla Stazione di Parma. Lavori subappaltati a due ditte, la Acropoli srl e la Edil Perna srl, subito bloccate da un’interdittiva antimafia. I responsabili di queste ultime sono collegabili alla mafia siciliana. Anche di questo, ovviamente, la ditta non sapeva nulla. Al momento non è nota la presenza di questa impresa sul nostro territorio. Non è dato sapere se ha ricevuto lavori in subappalto perché, alla faccia della trasparenza di cui tutti gli amministratori si riempiono la bocca, ai cittadini non è permesso sapere quali ditte lavorano nei cantieri.

Nel Gennaio del 2014 viene resa pubblica la notizia che già da Settembre dell’anno precedente la Prefettura di Alessandria ha comminato un’interdittiva antimafia all’imprenditore tortonese Francesco Ruberto. Che questi avesse legami con la criminalità e in particolare con il clan dei Gaglianò lo sapevano anche i sassi. Idem che avesse subito delle condanne per tangenti, per l’aggressione ed il pestaggio ai danni di un ambientalista facente parte di coloro che manifestavano contro la cava Cementir di Voltaggio e per aver gestito senza autorizzazione una discarica di rifiuti a Bosco Marengo. Ma anche chi non avesse prestato attenzione alle pesanti dicerie sul suo conto avrebbe dovuto aprire gli occhi dopo l’agguato che fu teso all’imprenditore nel 2007, quando fu preso a colpi di pistola e riuscì a fuggire buttandosi nei campi con il suo suv. Quello che si fa un po’ più fatica a digerire è che i giornali dedichino la minima attenzione possibile al fenomeno, facendo tra l’altro passare le due aziende (una edile e una di smaltimento rifiuti, i settori preferiti dalla ‘ndrangheta) come due ditte qualunque, mentre sono invece tra le principali della nostra provincia. Ditte che possono vantare la costruzione dell’outlet di Serravalle, tanto per dirne una.
Fiutando imbarazzo nel silenzio degli enti (perché bloccare due ditte con accuse così pesanti e non renderlo noto?), abbiamo controllato le ditte legate all’imprenditore colpito dalla misura interdittiva.
Risulta che l’azienda che gestisce ed è proprietaria di parte di una delle cave destinate ad accogliere lo smarino del Terzo Valico, la cava Montemerla di Tortona situata accanto a scuole, al bordo di un popoloso quartiere e a fianco di un centro commerciale, il sito più grande nella zona del tortonese destinato ad ospitare circa 2.200.000 mt. cubi di smarino provenienti dai cantieri, sia la Euroter s.r.l. Essa è di proprietà della signora Bettarello Giuliana Patrizia e ha la sede legale a Tortona sempre in Piazza Ester Mietta al civico numero 4. Guarda caso trattasi dello stesso indirizzo in cui hanno sede le due ditte dei Ruberto che hanno subito la sospensione per infiltrazione mafiosa. Ruberto e Bettarello Giuliana Patrizia risultano rispettivamente Socio e Amministratore Unico della T.R. Inerti Srl, un’altra ditta del settore sempre con sede in Piazza Ester Mietta al civico numero 4 (vedi visura camerale). Secondo gli abitanti della zona, Ruberto ha lavorato e lavora all’interno della cava. Ironia della sorte la Montemerla non era inzialmente prevista come cava da utilizzarsi per lo smarino del Terzo Valico e fu la Provincia di Alessandria a proporne l’inserimento nel piano cave come si evince dalla Relazione Istruttoria Finale (vedi pagina 23) preparata dall’Unità di Progetto “Terzo Valico”. Documento di relazione al Consiglio Provinciale del 15 Dicembre 2005 che diede parere favorevole, nonostante le dure contestazioni dei No Tav, al progetto definitivo del Terzo Valico. Ruberto ha interessi nella realizzazione del Terzo Valico? Considerato che nella cava operano persone legate alla ‘ndrangheta, non sarebbe il caso di controllare cosa si trova nel sottosuolo? Data la stessa premessa, è opportuno concedere l’utilizzo dell’area per lo stoccaggio dello smarino del Terzo Valico? È lecito pensare che la criminalità organizzata possa aver stretto accordi con il Cociv per gestire lo smarino attraverso la ditta tortonese? Qualcuno ha il coraggio di dire che sarebbe la prima volta? Come mai e in base a quali valutazioni tecniche la Provincia di Alessandria chiese di considerare l’utilizzo della Montemerla salvo poi negli anni successivi non autorizzare per ben due volte un progetto di discarica nel medesimo sito considerata la collocazione in zona esondabile dal torrente Grue? Gli amministratori comunali e provinciali responsabili non hanno mai risposto, ad oggi, a queste domande.

Sempre nel Gennaio del 2014, subito dopo l’emergere del caso Ruberto, sui lavori del Terzo Valico si allunga anche l’ombra della Camorra. L’organizzazione criminale campana, d’altra parte, non è nuova agli affari nelle grandi opere avendo gestito il trasporto dello smarino per il Tav del Mugello, come emerso dalle recenti inchieste. Nel sito recentemente occupato da Cociv a Libarna, sul cartello delle imprese è citata come subappaltatrice la Lande s.r.l.
La Lande s.r.l. si costituisce nel 2009, sulle ceneri della più antica “Giardini e Paesaggi s.a.s.” Il proprietario è lo stesso, si chiama Marco Cascella.
Viene denunciato insieme ad altre persone nel 2011 per i lavori svolti nell’oasi Ferrarelle di Riardo. Le accuse vanno dalla violazione delle norme sulla sicurezza a reati ambientali, autorizzazioni mancanti, distruzione o deturpamento di bellezze naturali. Nell’operato di questa azienda nell’area di Libarna si riscontrano gli stessi comportamenti, l’assoluta mancanza di rispetto delle più basilari norme di cantiere e l’invasione di aree ancora da espropriare.
Ma si tratta di una bazzecola in confronto ai pesanti sospetti che ricadono su questi signori rispetto agli appalti del G8 del 2009 a L’Aquila del dopo terremoto. È ormai noto il “metodo” con cui Verdini e soci si spartirono i soldi per l’allestimento dell’evento, ovvero quella che i media definirono simpaticamente “cricca”, in realtà un’associazione a delinquere di mafia e massoneria. Abbiamo trovato un verbale di un’interpellanza parlamentare del 2010 in cui si cita un’informativa dei Ros secondo la quale l’azienda in questione ha avuto un ruolo negli appalti incriminati:
“nel rapporto dei carabinieri vengono evidenziate anche le possibili connessioni di un altro Consorzio, lo Stabile Novus, che ha partecipato ad alcune gare e, attraverso una delle società, la Giardini e paesaggi, si è aggiudicato la sistemazione delle aree verdi in occasione del G8.
Annotano i carabinieri che amministratore dello Stabile Novus è Mario Buffardi, regista occulto è Antonio Di Nardo al quale fanno capo la Soa e la Promocert. Di Nardo ha avuto rapporti di affari con Carmine Diana, legato a Francesco Bidognetti del clan dei Casalesi. La Soa ha rilasciato il certificato di attestazione alle seguenti imprese: Aerre costruzione Srl il cui amministratore unico Antonio D’Oriano, fratello di Vincenzo ritenuto inserito nel clan camorrista di Ferdinando Cesarano e alla Edrevea SpA il cui socio Crescenzio Verde è stato arrestato e poi prosciolto ai sensi dell’art. 416-bisdel codice penale.”

Nel Febbraio del 2014 un articolo del Sole 24 Ore tira in ballo alcune ditte affidatarie di subappalti del Terzo Valico: la Lauro, di cui si è già detto, la Pamoter e la Cipa. Entrambe stanno lavorando al tunnel degli Erzelli, opera stradale propedeutica al Terzo Valico. La Pamoter, di proprietà dell’imprenditore genovese Pascucci, è nota per fare affari con la Eco.Ge. di Gino Mamone, re delle bonifiche a Genova e affiliato alla ‘ndrangheta, come risultato da numerose inchieste. La Cipa, azienda di Sorrento, è tra le principali aziende italiane di escavazioni in galleria e dal 2007 si è unita nel consorzio ItalTunnel con altre due ditte importanti nel panorama italiano delle grandi opere, la Fondazioni Speciali Srl e la Stone srl. Il consorzio (il cui presidente è spagnolo, e i capitali vengono da chissà dove) a sua volta è contenuto nel consorzio Italterra, di cui è socia la stessa Fondazioni Speciali. Tralasciando il gioco di scatole cinesi, che in questi casi è la norma, il sodalizio è balzato agli onori della cronaca due anni fa per alcuni fatti spiacevoli le cui conseguenze sono state pagate dagli operai. La Fondazioni Speciali in passato lavora (come anche la nostra Cipa SpA) nei cantieri della Salerno-Reggio Calabria. I magistrati scoprono che, esattamente come nel caso della Lauro, venivano fatturati lavori per importi superiori a quelli reali, si usavano tecniche e materiali più economici, mettendo a rischio la stabilità delle opere. I soldi, secondo chi indaga, servivano a garantirsi la “sicurezza” nei cantieri.
Riportiamo un estratto del decreto di arresto dell’operazione Crimine, una delle più imponenti di sempre contro la ‘ndrangheta:
“Emergono, lampanti, i primi indizi dai quali desumere incongruenze tra la documentazione prodotta e lo stato effettivo dei lavori messi in opera. Infatti, l’impresa oltre ad operare sotto stretto vincolo da parte “dell’entità locali”, in termini di approvvigionamenti di materiali e mezzi, deve anche adeguarsi alla qualità del materiale fornito nonché ai prezzi che vengono applicati. A questo si aggiunge, però, cha l’A.T.I., anche la fine di finanziarsi, e per “recuperare” quanto “pagato” sul territorio (a causa delle influenze mafiose) dichiara in modo falso l’esecuzione di determinate lavorazioni, anzichè altre più economiche effettivamente realizzate, che permettono maggiori introiti. La scarsa qualità del materiale, nonché la pessima organizzazione delle ditte locali, determina oltre che un rallentamento dei lavori, anche la realizzazione di opere di dubbia resistenza e durata: infatti EMMA dice esplicitamente che una zona di cantiere, da lei indicata come “muro C”, verte in uno stato negativo e che all’interno dei pali già realizzati non sarebbe stato difficile ritrovare grosse quantità di acqua o sabbia, cioè una miscela di calcestruzzo qualitativamente molto scadente.”
Con questi precedenti, quando due anni fa la ditta si presenta per i lavori dell’Expo 2015 di Milano, il prefetto di Milano commina un’interdittiva antimafia per i provati legami con la ‘ndrangheta. L’azienda ne risente, non potendo partecipare alle gare, e a finire senza stipendio sono gli operai che arrivano a occupare un cantiere per chiedere i pagamenti. Pare che verso la fine del 2013 il consorzio sia stato messo in liquidazione.
La terza azienda che fa parte del consorzio è la Stone (dell’ex ministro Lunardi di cui sopra), ben conosciuta in Valsusa, al centro dello scandalo per la corruzione nell’assegnazione dei lavori per il Tav Torino-Lione.

All’inizio di Aprile del 2014 nel cantiere della Castagnola un nuovo cartello riporta i nomi delle ditte Berti Sisto s.n.c. di Firenze e Antonini s.r.l. di Roma.
La Berti Sisto è finita con tre suoi esponenti nell’indagine per i danni ambientali del Tav nel Mugello, le cui condanne definitive sono state emesse nel mese di Marzo. Resta da capire se anche a loro è stata applicata l’interdizione dai pubblici uffici o meno. I reati attorno a cui ruota l’arcinoto processo sono quelli di traffico illecito di rifiuti e omessa bonifica. Tra le condanne più pesanti si ricordano quelle di Marcheselli e Guagnozzi, in prima fila anche nel Cociv per la distruzione del nostro territorio.
La Antonini s.r.l. vanta una condanna a due anni e mezzo per omicidio colposo per il titolare Augusto Antonini, in merito ad un incidente mortale in un cantiere. Il fatto si svolge sempre nel Mugello, ma questa volta per la variante dell’autostrada. Quattro operai morirono per il crollo di una piattaforma, in seguito vennero accertate le violazioni alle norme di sicurezza.
Per di più, mister Antonini è anche un evasore conclamato: nel 2012 gli viene contestato un debito con il fisco di 1,2 milioni di euro. Per evitare di pagarlo vende i beni dell’azienda a moglie e fratello, ma i beni vengono sequestrati e il ricorso dell’azienda bocciato dalla Cassazione.

Questo, ad oggi, il quadro della grande opera. I meccanismi della grande truffa del Tav sono stati ampiamente smascherati nel corso degli ultimi vent’anni da innumerevoli pubblicazioni. La politica che si fa braccio armato di una classe imprenditoriale predona per derubare le casse dello Stato delle sue ultime, fondamentali, risorse. Nessun cittadino onesto e di buon senso può più, a questo punto, far finta che le cose stiano diversamente. I prefetti che dovrebbero tutelare i cittadini hanno trovato una soluzione pilatesca nel “protocollo per la legalità”, quattro paginette di buoni propositi in cui si dice che le ditte che lavorano nei cantieri tav potranno autocertificare la loro estraneità a fatti di mafia. “Scusi lei, è mica mafioso?” “Chi, io? No no.” “Ok, mi fido”
Nel frattempo, al di fuori del mondo incantato dei prefetti di Alessandria e Genova succedono cose gravissime. A Castelnuovo Scrivia nell’Aprile del 2013 è stato arrestato Sebastiano Strangio, boss latitante e autore della strage di Duisburg nel 2007. Poi l’arresto dell’altro superboss, Trimboli, residente in Alessandria, uno dei maggiori narcotrafficanti italiani. A Serravalle Scrivia le ruspe di un altro noto mafioso genovese, Gino Mamone, prendono fuoco. A Tortona e Pozzolo alcuni attivisti subiscono intimidazioni di stampo mafioso. Nel 2011 fu sgominata una locale di ‘ndrangheta operante tra l’alessandrino e il novese, con ottime entrature nella politica e nell’imprenditoria locale. Uno degli affiliati, Giuseppe Caridi, era consigliere comunale e presidente della commissione politiche del territorio di Alessandria. A lungo, e invano, cittadini e associazioni chiesero lo scioglimento del Comune per infiltrazioni mafiose o almeno una commissione d’inchiesta sugli atti redatti da quella amministrazione. Nulla, la prefettura non fece nulla.
La presenza delle organizzazioni mafiose sul nostro territorio viene da lontano ed è ben lungi dall’essere sradicata, perlomeno fino a quando ci saranno sempre utili idioti pronti a dire che la mafia non esiste, soprattutto qui da noi.

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Per approfondire alleghiamo l’elenco di tutti gli articoli scritti su notavterzovalico.info e alessandriainmovimento.info dove è possibile risalire alle fonti.

Appalti Terzo Valico, ancora ditte da brividi 02/04/2014

Condannati gli uomini del Cociv per i reati ambientali nel Mugello 24/03/2014

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