Come da copione che si ripete in ogni angolo d’Italia davanti alle occupazioni abitative che riguardano strutture abbandonate da anni, l’amministrazione pubblica scopre di avere nel cassetto progetti per quelle strutture. Apprendiamo così dal comunicato stampa congiunto del Comune di Alessandria, della cooperativa Company& e dell’associazione comunità San Benedetto al Porto che le tre palazzine occupate dal Movimento per la Casa domenica scorsa stavano per essere assegnate in gestione alle due strutture del privato sociale che a loro volta le avrebbero assegnate a famiglie in graduatoria per l’emergenza abitativa. Supponendo che quanto scritto sia vero ci domandiamo innanzitutto perché l’affidamento non venisse fatto direttamente alle famiglie sotto sfratto, ma dovesse passare ancora una volta tramite la mediazione di quel mondo del privato sociale che a nostro modesto parere ha sempre più del privato e sempre meno del sociale. Un mondo per cui ogni situazione di disagio sociale, trattasi di tossicodipendenza, gestione dell’accoglienza profughi e da ultimo emergenza abitativa, diventa la possibilità di un progetto lautamente finanziato da istituzioni e banche con cui rimpinguare i loro bilanci annuali da centinaia di migliaia di Euro. Un modello che non esiste solo ad Alessandria e che comporta la sottrazione di importantissime risorse pubbliche dirottate dalle amministrazioni a favore del terzo settore.
Nel merito vogliamo che sia chiara e cristallina una cosa: noi non eravamo a conoscenza di questo presunto progetto e come noi nessun’altro visto che, a proposito di trasparenza, nessun documento pubblico ne testimonia l’esistenza.
Al tempo stesso ci permettiamo di dubitare fortemente che questo fosse il progetto su quelle palazzine, quantomeno che questi fossero i tempi di realizzazione. Siamo consapevoli dei lavori che occorre eseguire per rendere pienamente abitabili i dodici appartamenti, una questione al massimo di una settimana per noi, sarebbe stata di diversi mesi per la burocrazia istituzionale. E’ assurdo che in una città dove nei primi sei mesi del 2014 vi sono state 1.652 richieste di sfratto con un incremento del 40% rispetto al 2011 (fonte radiogold), il Comune di Alessandria e le associazioni che compongono l’Osservatorio Sociale scrivano che l’occupazione di domenica blocchi il percorso di assegnazione a favore delle famiglie in emergenza abitativa. Trattasi, molto semplicemente, della testimonianza del proprio fallimento e dell’incapacità cronica avuta in questi anni di immaginare soluzioni al problema degli sfratti.
Ci permettiamo allora di consigliare alcune questioni proprio per non alimentare nessuna guerra fra poveri e per praticare, qui ed ora, una soluzione per far sì che tutte le famiglie con sfratto esecutivo possano tornare a respirare. Come chiediamo da sempre occorre una moratoria degli sfratti e a chi sostiene che questa non dipenda dall’amministrazione comunale e dalla Prefettura consigliamo di volgere lo sguardo dalle parti di Pavia. Chiediamo che vengano eseguite le requisizioni dei tanti palazzi proprietà di banche e agenzie immobiliari lasciati completamente vuoti. Chi dovesse sostenere che questo non sia legale consigliamo di volgere lo sguardo dalle parti di Cosenza. Chiediamo che il patrimonio pubblico venga utilizzato ai fini dell’emergenza abitativa e tanto il Comune, quanto le associazioni, sanno benissimo che simili spazi esistono e potrebbero essere utilizzati. Non mancano le soluzioni, quello che è mancato fino ad ora è stata la volontà politica di percorrere queste strade.
Allora Mauro Cattaneo, Renzo Sacco e Fabio Scaltritti dovrebbero vergognarsi per aver contrapposto nel loro comunicato famiglie che avrebbero secondo loro diritti legittimi e acquisiti a chi magari non li avrebbe non entrando nei parametri assurdi e totalmente anacronistici con cui vengono stilate le graduatorie dell’emergenza abitativa. Per noi esistono solo ed esclusivamente famiglie con uno sfratto esecutivo e tutte queste famiglie, nessuna esclusa, hanno il diritto di non finire in mezzo a una strada.
Da ultimo ci è parso di leggere fra le righe del comunicato una neppur troppo velata richiesta di sgombero. La mutazione antropologica e genetica della Comunità San Benedetto al Porto è definitivamente compiuta. Da sostenitori delle occupazioni a strettissimi collaboratori del Partito Democratico e strenui difensori della legalità. La gestione del potere miete l’ennesima vittima sul terreno della compatibilità istituzionale e, a onor del vero, sono ormai parecchi anni che ne siamo a conoscenza.
Nelle prossime ore il comitato per l’ordine pubblico e la sicurezza deciderà se autorizzare uno sgombero. Cari Cattaneo, Sacco e Scaltritti ve ne riterremo responsabili e se invece ci siamo sbagliati avete ancora il tempo per scrivere nero su bianco che vi opponete a qualsiasi azione di forza da parte della Questura. Ognuno decida con serenità quali decisioni prendere, l’unica cosa che noi ci sentiamo di ricordare a tutti è che uno sgombero comporta delle barricate e dopo le barricate arrivano nuove occupazioni. Magari delle stesse palazzine o magari potremmo decidere di tornare nel salotto buono della città a godere dello splendido panorama su Piazza della Libertà o su via Cavour.
Dalle occupazioni di Corso Acqui
Movimento per la Casa
In copertina una foto di repertorio