Siamo quelli che hanno detto NO in piazza alla Leopolda di Firenze il 5 novembre, il 27 novembre a Roma e il 4 dicembre nelle urne.
Siamo scesi in piazza in decine di migliaia di persone a Roma, venendo dalle grandi città e dalla province, dai territori devastati dalle grandi opere, dalle periferie e dalle zone terremotate. Siamo le stesse persone che, tra milioni di altre, hanno respinto la riforma costituzionale: i giovani e giovanissimi, gli abitanti del Sud Italia e tutti coloro per cui la povertà è un certezza e il futuro un dubbio.
La partecipazione al voto è stata un segnale di rifiuto all’arrogante progetto di Renzi e del Partito Democratico sull’immiserimento dell’Italia. Un progetto fatto da abbassamento del costo del lavoro con il Jobs Act, speculazione sui territori con lo Sblocca Italia, la negazione dei più basilari diritti con il Piano Casa, la privatizzazioni dei beni e dei servizi pubblici a causa del pareggio di bilancio, la trasformazione delle scuole in aziende con la Buona Scuola.
Sappiamo bene che tanti partiti politici, anche xenofobi e razzisti, hanno rivendicato la vittoria del NO, ma non possiamo non notare come nelle città in cui le lotte territoriali hanno prodotto una partecipazione popolare la delegittimazione della riforma abbia raggiunto percentuali di voto importanti: dalla Val Susa alle assemblee dei quartieri di Napoli, dalla Laguna veneziana alle coste trivellati dei nostri mari.
Pochi minuti dopo l’esito del referendum abbiamo visto gli sconfitti riciclarsi ai posti di governo, mostrando arroganza e disprezzo nei confronti delle volontà di chi è andato alle urne.
Renzi prima ha messo in atto l’ultimo show con le sue dimissioni, poi si è trasformato in Gentiloni, personaggi come la Boschi venivano addirittura promossi mentre i ministri delle riforme mantenevano le loro poltrone e difendevano il loro operato, disposti a tutto pur di garantire la continuità clientelare del Partito Democratico.
Sapevamo da subito che il 4 dicembre non sarebbe stato il punto di arrivo, ma l’inizio di una nuova fase di mobilitazione che si opponga, al di là di Renzi, a chi pensa di mantenere lo status quo, ovvero la generalizzazione della miseria per i molti e dell’arricchimento di pochi.
Gentiloni non è altro che la continuità delle misure di austerità e impoverimento imposte dall’Unione Europea, e sono queste le politiche che dobbiamo contrastare.
E’ questo governo che rappresenterà l’Italia nei prossimi mesi in chiave internazionale, attraversando passerelle di autocelebrazione delle virtù dell’Unione Europea come quella prevista per il 25 Marzo a Roma.
La stessa Europa che mentre smantella i diritti, indirizza le responsabilità della sua gestione fallimentare della crisi contro i più poveri, soprattutto i migranti. Per questo motivo la data dell’anniversario dei Trattati di Roma rappresenta una possibilità di mobilitazione per ridare corpo e voce al NO sociale. Capiamo insieme come.
I tanti temi delle realtà e dei comitati che hanno animato la campagna “C’è chi dice NO” hanno trovato negli scorsi mesi dei momenti di condivisione. La loro mobilitazione allude ad un cambiamento radicale delle condizioni di vita del presente e non si limita ad opporsi alle riforme strutturali dei governi della crisi.
Non ci interessa la competizione elettorale tra partiti, ma le ragioni che hanno portato diciannove milioni di cittadini ad esprimersi contrariamente alla riforma costituzionale.
Sono i contenuti reali delle lotte e delle iniziative sociali a dover essere messi al centro di un dibattito collettivo e aperto con una grande occasione di confronto, che proponiamo per domenica 22 gennaio alle ore 13.30 all’Università della Sapienza a Roma.
MOVIMENTI E TERRITORI DEL NO SOCIALE