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Benedicta: come onorare (davvero) quei luoghi

Nella foto - Laboratorio Sociale Alessandria

Tra poco meno di una settimana quella che una volta era l’aia della cascina Benedicta vedrà schierati uno accanto all’altro, impettiti nel loro vestito buono e con tanto di fascia tricolore, i rappresentati delle Istituzioni locali. Intorno i gonfaloni con gli stemmi dei comuni. E poi le persone che, come ogni anno, saranno salite tra i monti per onorare la memoria dei partigiani caduti.
Era la notte tra il 5 e il 6 aprile del 1944 quando nazisti e fascisti iniziarono il rastrellamento di cui furono vittima 154 uomini e ragazzi, uccisi in combattimento, fucilati, deportati.
Le persone che domenica 8 aprile raggiungeranno la Benedicta per ricordare quella che è stata una profonda ferita, per il nostro territorio e per la nostra storia, avranno sotto gli occhi quella che non si può che considerare un’altra ferita inferta, in tempi molto più recenti, al cuore della montagna. Accanto al sacrario che riporta i nomi dei giovani che furono vittime del rastrellamento uno scempio di cemento, lo scheletro di quello che dovrebbe essere il centro di documentazione della Benedicta.
A volere quello che oggi non si può che definire “ecomostro” furono l’Associazione Memoria della Benedicta e il Partito Democratico – con una proposta di Legge firmata Rocchino Muliere e la posa “virtuale” della prima pietra per mano di Mercedes Bresso. Il cantiere fu appaltato ad una ditta genovese nel 2011 per poi interrompersi due anni dopo a causa di “una serie di ritardi nell’esecuzione dei lavori e del fallimento della ditta” – queste le parole dell’allora assessore ai Lavori Pubblici della Provincia di Alessandria Graziano Moro su un quotidiano locale.
A inizio 2018 Regione Piemonte e Provincia hanno deliberato lo stanziamento dei 750mila euro necessari al completamento del secondo lotto. I lavori, stando a quanto comunicato dalle Istituzioni, dovrebbero iniziare in estate e portare la struttura ad essere fruibile.
Un progetto che già mancava di concretezza e visione – “avevamo chiesto alla Provincia di non avviare il cantiere poiché ritenevamo che sarebbe stato difficile gestire la struttura”, dichiararono ad un cronista locale Marco Ratti e Franco Ravera, nel 2009 sindaci rispettivamente di Bosio e Belforte – , si troverà inevitabilmente ad affrontare le conseguenze dell’incuria e dell’abbandono e l’aspetto gestionale ancora incerto.
Possiamo sospendere il giudizio riguardo lo sperpero di risorse pubbliche, ma crediamo che sia ora irrimandabile il ragionamento intorno al come onorare (davvero) la memoria di quelle valli. Costruire ha un significato solo se equivale a proteggere e valorizzare.

Forse vale la pena immaginare un centro di documentazione aperto tutti i giorni, che con servizi adeguati, un punto informativo e un piccolo spazio ristoro – magari che valorizzi le produzioni locali – possa accogliere coloro i quali raggiungono il parco, ma soprattutto che sia luogo di ricerca e studio sulla resistenza. “Ora più che mai serve – dice chi vive quei luoghi partecipando attivamente alla sopravvivenza della memoria – studiare attentamente quei fatti. Serve creare un archivio ampio e completo, magari integrandolo con quanto reperibile attraverso nuovi progetti di ricerca, e con un centro studi che possa produrre documentazione utile a raccontare la storia della Benedicta e delle cascine intorno ad essa: la vita in montagna, la Fiera del bestiame, la strada del sale. Perché raccontare quella storia significa raccontare il legame tra montagna e resistenza, difesa dei propri diritti e capacità di lottare. Valori di cui oggi abbiamo estremamente bisogno e che non possiamo rischiare di non tramandare alle nuove generazioni. Non sarebbe meglio portarli qualche giorno nell’Appennino a scoprire il legame con il territorio e la storia che questo porta con sé, piuttosto che in settimana bianca?”
Vale la pena pensare ad un museo multimediale e fruibile da tutte le generazioni, uno spazio eventi che possa ospitare convegni sul tema e momenti pubblici. Questo luogo dovrebbe fare sistema con il già funzionante Ecomuseo di Cascina Moglioni e con gli altri spazi che, negli anni, all’interno del Parco delle Capanne di Marcarolo sono stati riqualificati. Spazi che, nella migliore delle ipotesi, in questo momento sono parzialmente fatti vivere da chi su base volontaria porta avanti piccoli progetti o iniziative. Ma che, attivati con un percorso di co-progettazione, potrebbero essere i punti di connessione di una rete in grado di valorizzare la storia (non solo partigiana) di quei luoghi, favorendone la fruizione, pur tutelando l’ambiente e l’ecosistema.

Vale la pena immaginare che Cascina Pizzo diventi un luogo dedicato a percorsi didattici da condurre con classi di tutti i livelli scolastici e gruppi. Questo spazio che, ristrutturato nell’ambito del progetto Parco della Pace e affidato all’Associazione Memoria della Benedicta, ospita attualmente parte della documentazione relativa all’eccidio e alla lotta partigiana avrebbe gli spazi idonei per la realizzazione di laboratori e letture, e iniziative che stimolino la curiosità riguardo i fatti accaduti in quei boschi.
Vale la pena pensare che Cascina Mulino Vecchio, anch’essa parte del Parco della Pace e in disuso dalla fine dei lavori di ristrutturazione, possa finalmente essere un ostello in grado di ospitare chi decide di passare una notte nell’Appennino.
Vale la pena immaginare che Cascina Mulino Nuovo, ristrutturata nel 1998 ed in gestione al CAI, possa offrire, non solo 40 coperti e 25 posti letto su richiesta, ma anche un luogo che sappia raccontare la montagna.

Modernità non significa deturpazione del territorio, significa guardare lontano, trasformare con lucidità ciò che abbiamo attorno, essere indice di consonanza tra tempo e pensiero.
Significa fornire prospetticità ad un progetto che sappia coinvolgere gli enti, le associazioni, i privati e le persone che vivono e che attraversano quei luoghi, per fare in modo di continuare a camminare sul sentiero tracciato 74 anni fa dagli uomini e dalle donne che allora scelsero di resistere e lottare contro il fascismo.

Abbiamo deciso di ridisegnare la mappa del nostro territorio attribuendo nuovi significati

ai luoghi e ai personaggi che incontreremo sul cammino

Autrici Marta Sofia – Giulia Gastaldo

ph. Paolo Gambaudo