Questa mattina, nell’ambito della Conferenza dei Servizi convocata per approvare l’ampliamento della produzione di cC6O4 nell’impianto Solvay di Spinetta Marengo, la Provincia ha scelto di NON DECIDERE e di rinviare la conferenza dei servizi a fine agosto.
Ha scelto di non dare priorità alla salute degli abitanti di Spinetta (e non solo). Ha scelto di dare precedenza alle mezze misure che permetteranno a Solvay di ripresentarsi con nuove pretese.
Ormai tutti sappiamo che il cC6O4 è un Pfas di nuova generazione, quindi appartenente alla famiglia di quelle sostanze che nel mondo hanno fatto ammalare e ucciso migliaia di persone (in Italia ce lo dimostra tragicamente il caso Miteni di cui ci hanno raccontato le “Mamme No Pfas” arrivate dal Veneto al presidio).
Per questo non ci bastano le richieste di ulteriori approfondimenti. Non ci basta che Solvay (controllore e controllato) ci racconti di una barriera idraulica efficace. Questo strumento, che dovrebbe impedire eventuali fuoriuscite di contaminanti ha, infatti, dimostrato la propria inadeguatezza, come testimonia la chiusura dell’acquedotto di Montecastello (a 20 km dal polo chimico) a causa del ritrovamento di cC6O4.
Vogliamo la certezza di vivere in un territorio salubre! Se le Istituzioni – come ci raccontano – hanno a cuore il bene dei cittadini delle proprie comunità, devono avviare:
– lo screening medico di tutta la popolazione coinvolta
– la verifica su tutti i pozzi degli acquedotti del nostro territorio.
E vogliamo che questo sia solo il primo passo, perché sappiamo che senza bonifica integrale, senza il blocco totale degli sversamenti, senza riconversione della produzione di Solvay, il rispetto ambientale e della salute pubblica non possono essere garantiti.
Solvay e le Istituzioni continuano a riempirsi la bocca di rispetto dei limiti, “anche in Veneto i limiti venivano rispettati” – hanno raccontato le “Mamme No Pfas – “ma quei limiti non servono a niente, perché i Pfas, che si bioaccumulano, non ci devono essere nel sangue, non ci devono essere nell’acqua che beviamo (…)”. Non è accettabile che non si sappia se una sostanza prodotta e sversata sul nostro territorio faccia male.
“Non ci sono dati della pericolosità”, ci dicono, ma noi vogliamo avere la certezza di vivere in un territorio che non ammali noi e i nostri figli!
Un secolo di morti e veleni può bastare.