articolo di Luis Hernandez Navarro, tratto da La Jornada
Non può riapparire ciò che non se ne è mai andato. Quello che questo 21 dicembre hanno fatto i ribelli maya zapatisti occupando pacificamente e in silenzio cinque città del Chiapas non è stato un riapparire, ma un riaffermare la loro validità.
L’EZLN è stato qui da più di 28 anni fa. Non se ne è mai andato. Per 10 anni crebbe sotto l’erba; più di 18 anni fa si fece conoscere pubblicamente. Da allora ha parlato e mantenuto il silenzio in maniera intermittente, ma mai ha smesso di agire. Tante volte si è decretata la sua sparizione o la sua irrilevanza, pero sempre è risorto con forza e col suo messaggio.
Questo inizio del nuovo ciclo maya non è stato un’eccezione. Più di 40 mila basi d’appoggio zapatiste hanno marciato sotto la pioggia in cinque città del Chiapas: 20 mila a San Cristobal, 8 mila a Palenque, 8 mila a Las Margaritas, 6 mila ad Ocosingo, ed almeno altri 5 mila ad Altamirano. Si tratta della mobilitazione più numerosa dall’apparizione dei ribelli del sud est messicano.
La magnitudine della protesta è un segnale che la loro forza interna, invece di diminuire col passare degli anni, è cresciuta. Ci mostra che la strategia di controinsurrezione contro di loro, portata avanti dai differenti governi, ha fallito. Ci mostra che il loro progetto è un espressione genuina del mondo maya, ma anche di moltissimi contadini poveri del Chiapas.
L’EZLN non ha mai abbandonato la scena nazionale. Guidato dal proprio calendario politico, fedele alla sua coerenza etica e con la forza dello stato contro, ha rafforzato le proprie forme di governo autonome, ha mantenuto viva la sua autorità politica tra i popoli indigeni del paese e attive le reti di solidarietà internazionale. Il fatto che non sia apparso pubblicamente non significa che non sia presente in molte delle lotte significative nel paese.
Nelle cinque Giunte di Buon Governo che esistono in Chiapas e nei Municipi Autonomi le autorità delle basi di appoggio si governano loro stesse, esercitano la giustizia e risolvono i conflitti agrari. Nei loro territori, i ribelli hanno fatto funzionare i loro sistemi di salute e di educazione ai margini dei governi statali e federale, organizzando la produzione e la commercializzazione e mantenendo in piedi la loro struttura militare. Hanno superato con successo la sfida del cambio generazionale dei loro dirigenti. E, non da poco, hanno evitato efficacemente le minacce del narcotraffico, l’insicurezza e la migrazone. Il libro Luchas muy otras. Zapatismo y autonomía en las comunidades indígenas de Chiapas è una straordinaria finestra per conoscere alcune di queste esperienze.
Gli zapatisti hanno marciato in ordine questo 21 di dicembre, con disciplina e coesione, ed in silenzio; un silenzio che si è ascoltato forte. Nello stesso modo per cui si sono dovuti coprire il volto per essere visti, adesso hanno interrotto la parola per essere ascoltati. Si tratta di un silenzio che esprime una feconda capacità generativa di orizzonti “altri” di trasformazione sociale, una grande potenza. Un silenzio che comunica volontà di resistenza di fronte al potere: chi sta in silenzio è ingovernabile, diceva Ivan Illich.
Un ciclo di lotta politica si è chiuso in Messico questo primo di dicembre (il 1 dicembre si è insediato il neoeletto presidente Pena Nieto, e nella capitale migliaia di persone manifestarono il loro dissenso ricevendo una forte repressione, n.d.t.), nello stesso tempo che un altro si è aperto. L’EZLN ha molto da dire nella nascente mappa delle lotte sociali che comincia a definirsi nel paese. La sua mobilitazione può impattare su di esse in maniera rilevante.
[…]Nell’ultimo anno e mezzo sono emersi dei movimenti sociali che mettono in discussione il potere al di fuori dei partiti politici. Non si sentono rappresentati da nessuno di essi. Il Movimento per la Pace con Giustizia e Dignità, #YoSoy132, le lotte comunitarie contro l’insicurezza e la devastazone eco-logica, le proteste studentesche in difesa dell’educazione pubblica, tra le altre, hanno camminato per sentieri diversi da quelli della politica istituzionale. Le simpatie che queste forze hanno verso lo zapatismo sono reali.
Però, aldilà della congiuntura, i cortei del 13 Baktún maya sono un nuovo ¡Ya basta! Simile a quello che pronunciarono nel gennaio 1994, e di una versione rinnovata del ¡Mai più un Messico senza di noi! Formulato nell’ottobre 1996, che apre altri orizzonti. Non chiedono niente, non denunciano niente. Mostrano la potenza del silenzio. Annunciano che un mondo crolla e un altro rinasce.