Il tribunale di Alessandria ha recentemente messo in amministrazione giudiziaria su richiesta della questura una ditta che si occupa di movimento terra, la Nuova Trasporti di San Giuliano Vecchio, per via dei suoi legami con la ‘ndrangheta.
Diversamente da quanto affermato dai media locali, che parlano di un “odore di mafia”, la ditta è diretta proprietà di membri dell’organizzazione. Il solo “odore” ce l’hanno altre ditte, tipo la Lauro s.p.a., che lavora – a norma di legge – nel cantiere del Terzo Valico di Voltaggio.
La Nuova Trasporti, che sta di casa non lontano da dove la locale scoperta nel 2011 aveva la propria sede, a Pollastra, si scopre nella disponibilità di Carmine Verterame, un mafioso condannato nell’inchiesta “Infinito”, una delle più importanti sulla ‘ndrangheta lombarda negli ultimi anni.
Nonostante la ditta in questione fosse direttamente intestata a lui si è dovuto aspettare fino ad oggi per un qualche provvedimento. Questa “solerzia” tipica dei procedimenti contro i mafiosi ha permesso a questa azienda, secondo quanto si legge, di partecipare anche ai lavori della strada 35-Ter, conclusa quest’anno dopo lunghi ritardi e la sostituzione per fallimento della ditta incaricata dei lavori. Nella conferenza stampa la questura fa anche sapere che i suoi mezzi lavoravano in quei cantieri pur non avendo alcun contratto di subappalto, altra modalità tipica dei contesti mafiosi.
Un po’ di storia. La strada, nata per snellire il traffico sulla statale 35, fa parte del pacchetto Outlet di Serravalle, era in progetto da lungo tempo ed è stata fortemente voluta dalla Provincia di Alessandria. Oltre ad aver devastato una delle poche zone ancora intonse tra Novi e Serravalle, è costata 18 milioni di Euro (che potevano essere spesi sicuramente meglio, vedasi bonifica Ecolibarna) e dovrà essere in parte demolita in quanto interferisce con il tracciato del terzo valico, il cui smarino arriverà nel cantiere novese della Pieve proprio attraverso questa strada. L’opera è stata affidata al solito mondo cooperativo amico del Partito.
Tralasciamo – che tanto non frega a nessuno – l’impatto ambientale dell’opera, ampiamente sottovalutato, che ha portato notevoli mutamenti dell’assetto idrogeologico della zona circostante (sono ormai frequenti gli allagamenti delle zone a valle).
La notizia che la ‘ndrangheta ha lavorato in quei cantieri dovrebbe far sorgere altre domande, del tipo: siamo sicuri che con tutto quel viavai di camion non siano stati interrati rifiuti speciali sotto l’asfalto? Pare succeda sovente quando nei cantieri lavora certa gente. E come facevano a lavorare in sub-subappalto senza uno straccio di contratto? In quasi 3 anni di cantieri un’ispezione dell’ispettorato del lavoro ci sarà ben stata, o no? Come ci sono entrati in quell’affare? Lo diciamo apertamente: chi è il loro referente? Chi ha imposto la loro presenza alla vincitrice dell’appalto, la COVECO, un consorzio di cooperative che nel frattempo è stata letteralmente travolta dall’inchiesta Mose?
Non si sa. Probabilmente non si saprà mai, per diversi motivi: primo, c’è una curiosa corrente giurisprudenziale secondo la quale essere mafiosi non è reato, pertanto i fatti non vengono approfonditi per non recare disturbo a delle brave persone.
Secondo, può essere stato chiunque. Tutte le parti in causa hanno dimostrato ampiamente di essere in grado di tessere rapporti con la ‘ndrangheta.
Ne è in grado la politica, che compra pacchetti di voti in cambio di contanti, appalti o favori, quando non ha direttamente tra le proprie file affiliati alle cosche. E questo vale per le grandi città, ma anche per i centri più piccoli, come le vicende alessandrine stanno a testimoniare.
Ne sono in grado i dipendenti pubblici, chiamateli come volete, burocrati, tecnici, colletti bianchi, la sostanza non cambia. Diversi processi di mafia, con particolare riferimento a quelli piemontesi e lombardi, hanno mostrato come un tecnico nel posto giusto faccia molto comodo. (Esempio: a Pavia il direttore dell’Asl Carlo Chiriaco era direttamente affiliato alla ‘ndrangheta. In questo contesto si può immaginare come venissero gestite non solo le forniture ospedaliere, ma anche i controlli sui luoghi di lavoro, dai cantieri ai ristoranti).
E ne sono in grado le aziende stesse, che si affidano alle organizzazioni criminali sempre più spesso non sotto minaccia, ma per sfruttarne i servizi in un rapporto di reciproca convenienza: creare fondi neri attraverso false fatturazioni, far sparire rifiuti speciali, usarne i referenti in politica o nelle forze dell’ordine per ottenere lavori o alleggerire controlli.
Il caso vuole che una di queste aziende “disinvolte”, la Praga Holding che ha costruito l’Outlet di Serravalle, faccia parte della committenza della 35-Ter insieme a Provincia e Regione. La Praga è quella che più ha dato da lavorare all’impresa edile della locale di ‘ndrangheta alessandrina scoperta nel 2011. Grazie ai soci che la compongono, ovvero Trecolli e Boggeri, il gruppo criminale ha costruito il retail park di Serravalle, di cui manteneva il contratto per lo sgombero neve dai piazzali, ha costruito a Novi la nuova zona commerciale-residenziale Euronovi, è entrata in diversi appalti pubblici come l’ampliamento della statale 35 nei pressi dell’Outlet e la ristrutturazione del museo napoleonico di Spinetta Marengo.
Uno potrebbe pensare che, dopo i ben noti arresti del giugno 2011, il signor Carmine Verterame con la sua ditta di San Giuliano sia subentrato di diritto nei lavori che contano in rappresentanza della ‘ndrangheta locale, sulla base di un patto con la committenza o le aziende appaltatrici.
Oppure, più probabilmente, chi scrive è un monomaniaco che vede mafiosi dappertutto, e si tratta di un semplice disguido. Il signor Verterame (condannato a Milano per mafia a 12 anni e 6 mesi), che secondo il tribunale ha dieci camion e quindi non può sapere con esattezza dove sono tutti in ogni momento, era con i suoi mezzi nei cantieri della 35-Ter all’insaputa di tutti, anche la sua.
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