Foreign fighter, combattente, sospettato. Sono alcune dei modi in cui la stampa nazionale ha definito Luisi Caria, il 33enne di Nuoro colpito da un divieto di espatrio poche settimane fa. Il reato ipotizzato è di “partecipazione a organizzazione terroristica”.
Chi conosce Luisi, però, sa che non è un terrorista. I terroristi lui li ha visti, e anche da vicino, quando è andato in Siria per combatterli al fianco delle Unità di Protezione del Popolo (YPG). Un’accusa assurda e surreale che rischia di creare facili associazioni tra i terroristi islamici e i combattenti e le combattenti della Rivoluzione Confederale della Siria del Nord che rischiano le loro vite per sconfiggere Daesh, lo Stato Islamico, ma anche per provare a dare una risposta alternativa ai problemi che affliggono non solo la Siria, ma gran parte del mondo.
Lo ha spiegato Davide Grasso, attivista torinese autore di “Hevalen. Perchè sono andato a combattere l’ISIS in Siria”, quando gli abbiamo chiesto qual è, secondo lui, il motivo di tali accuse.
“Sapere che gioco c’è dietro è impossibile – spiega – In Sardegna è accaduto ciò che io temevo da anni. Dare del terrorista a chi combatte nelle YPG e nelle YPJ (n.d.r. Unità di Protezione delle Donne) è impossibile sia nella sostanza che sul piano giuridico. Il problema, però, è che ciascun magistrato ha facoltà di aprire un fascicolo a carico di una persona. Non si può impedire e fino a quando non si arriva di fronte al giudice il procedimento va avanti. Alcuni magistrati, e io stesso ne ho conosciuti da attivista No Tav, hanno un’ideologia di destra e un odio sviscerato per chiunque si attivi su qualche fronte.”
Capire perchè ragazzi e ragazze di tutto il mondo abbiano deciso di unirsi fisicamente alla lotta dei curdi della Siria del Nord può essere difficile se non si considera la delicata situazione complessiva. “In questo momento in Siria ci sono tre soggetti che si confrontano – dice Davide – uno è il regime oligarchico di Bashar al Assad, l’altro è un’insurrezione teocratica islamista che vuole creare uno Stato Islamico, una Siria nuova fondata sulla legge islamica. Il terzo soggetto è la Rivoluzione Confederale dapprima portata avanti solo dai curdi e dopo la battaglia di Kobane anche da arabi e cristiani. La rivoluzione è ispirata dall’idea che la popolazione debba essere il soggetto prioritario per costruire il futuro della Siria ed è caratterizzata da forme molto avanzate di democrazia e di protagonismo delle donne. Donne e uomini con lingue, fedi e stili di vita differenti si stanno sforzando per costruire un’alternativa di pace e per sperimentare soluzioni ai problemi economici, sociali e di rappresentanza politica presenti in tutto il mondo.”
Se a questo si aggiunge l’orrore provocato dagli attentati dell’Isis in Europa diventa più chiaro comprendere che chi è si è unito alle YPG e alle YPJ non lo ha fatto solo per sostenere gli sforzi di quelle persone ma anche per un bene superiore e collettivo.
“Parliamo di ragazzi e ragazze, spesso giovanissimi, che hanno messo a rischio la loro vita per liberare quei territorio. Molti l’hanno persa per combattere quell’organizzazione mostruosa che l’Isis che ha mietuto vittime anche in Europa. Nessuno dovrebbe permettersi di associare il nome e la bandiera delle YPG e delle YPJ al terrorismo. Il fatto che accada – conclude Davide Grasso – denota la degenerazione culturale del mondo di oggi e dell’Europa in particolare.
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Autrice
ph. Davide Grasso Fb