“Sono noti gli aforismi, le frasi lapidarie, gli slogans, caratteristica inconfondibile del ventennio.. […]
Il fascino degli slogans è affidato al gioco e all’incastro delle parole più che al peso e alla sostanza dei concetti.”
Augusto Simonini, Il linguaggio di Mussolini
Cercherò di analizzare il linguaggio politico adottato dal Ministro Salvini partendo dai suoi slogan più ricorrenti, iniziando dal tanto abusato «prima gli italiani», che spesso viene utilizzato per dar credito alle sue politiche in materia di immigrazione.
Perché deve essere accettata, nel dibattito pubblico, l’idea che sia necessario scegliere tra adottare politiche a favore delle fasce sociali più deboli che già risiedono nel territorio italiano e salvare vite umane?
Dal punto di vista comunicativo ci troviamo di fronte a una fallacia della falsa dicotomia: quel meccanismo argomentativo secondo cui si crede sia d’obbligo scegliere tra due elementi escludendo l’ipotesi di poter occuparsi di entrambi.
Di fronte a slogan come «prima gli italiani» e «dalle parole ai fatti» non si può far altro che cercare di demistificare la sottile ideologia che sottendono, tutto questo attraverso la decostruzione del linguaggio, data la stretta correlazione esistente tra questi due elementi, come scrisse Edoardo Sanguineti nel testo Ideologia e linguaggio del 1965.
«Prima gli italiani», come se davvero le persone migranti che mirano ad arrivare in Europa per i motivi più disparati fossero da considerare il male minore e, quindi, le vittime da sacrificare sull’altare della propaganda.
«Dalle parole ai fatti», quando in realtà ciò che sta facendo l’attuale Governo non è altro che il tentativo di rendere performative dichiarazioni che lo rimangono solo a parole e a livello di percezione.
Cercherò di spiegarmi meglio attraverso un esempio piuttosto attuale: il Ministro Salvini dice che i porti italiani sono chiusi, cercando pavidamente di conquistare una posizione egemonica nei confronti dell’Europa, attraverso una prova di forza; tutto questo sulla pelle di persone, che non importa quante siano numericamente.
Lui sceglie deliberatamente di sacrificare esseri umani attraverso l’antico processo della disumanizzazione. Come? Dividendo da una parte i migranti in buoni e cattivi, in terroristi e fannulloni palestrati, gli italiani tra persone per bene e con il buon senso – in altre parole i vecchi cari padri di famiglia a cui lui dice di ispirarsi – e dall’altra i frequentatori dei centri a-sociali, quelli che non sanno sorridere, i ladri, quelli che ce l’hanno con i gattini.
Salvini sostiene che i porti siano chiusi ma Toninelli, Ministro competente in materia, pur confermando a parole quanto detto dal collega di governo (altrimenti detto connivente), nella pratica non ha mai firmato alcun documento ufficiale. In questo caso non ci troviamo di fronte a un’affermazione propriamente falsa, quanto infelice (secondo la teoria degli atti linguistici di John Langshaw Austin).
Nel momento in cui un Ministro della Repubblica dichiara che i porti sono chiusi, l’ascoltatore si aspetta che questa frase abbia valore performativo, nel senso che nel momento in cui viene espressa questa compie qualcosa, produce una conseguenza, dovrebbe raggiungere il suo obiettivo perlocutorio (in questo caso l’effettiva chiusura dei porti). Così non avviene, testimoniato ad esempio in questo audio da Carla Roncallo, presidente dell’Autorità portuale del Mar Ligure Orientale, che ci ricorda che non esistono documenti ufficiali e che non basta che Toninelli dica che un decreto di chiusura non è necessario. «Possono esserci problemi di natura logistica – spiega – come l’assenza di banchine vuote a cui attraccare, ma un mancato approdo non è dato dalla chiusura dei porti».
Frasi come «rinnovare un nuovo asse Roma – Berlino» – notare la ridondanza di rinnovo e nuovo -, «chi aiuta i clandestini è nemico degli italiani» sono riferimenti facilmente intuibili da chiunque. Sarebbe ingenuo pensare che un intero team che si occupa di comunicazione non sappia che si tratta di calchi di frasi pronunciate da Mussolini. La strategia è una e ben precisa: personalizzare la politica, memore dell’esperienza di Mussolini e di quella di Berlusconi; giocare sulla figura dell’eroe, del salvatore che non “molla” e strizzare un occhio all’estrema destra. Durante gli anni del fascismo la letteratura e le letture privilegiate dovevano trattare gesta eroiche, l’uomo era sempre dipinto come forte e coraggioso; la figura dell’inetto non era contemplata. Ed ecco allora la strategia nel definire i centri sociali “asociali”, nel continuare a propinare la strategia del sorriso – «sapete cosa vi dico amici? Rispondo con un sorriso e mando loro un bacione» – molto in voga in questo momento, tanto che non si riesce a capire se sia stato Lino Banfi a suggerirgliela o viceversa.
Salvini non aspira propriamente al Fascismo, il modello che ha in testa è quello che Piero Gobetti definì il Mussolinismo. È ovunque e parla di tutto; è il ministro dell’Interno ma fa quasi più viaggi del ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi – ammettetelo, quante volte lo avete sentito nominare? -.
C’è però un luogo in cui sia lui che il suo collega di governo, il Ministro della Famiglia e della Disabilità Lorenzo Fontana, hanno sempre faticato ad andare: il Parlamento Europeo. Non parliamo poi di tutti quegli incontri durante il quale si è discussa la rinegoziazione della Convenzione di Dublino. Fontana durante la sua seconda legislatura da parlamentare europeo (2014- 2018), in qualità di delegato della Commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni(LIBE), ha disertato ben 22 incontri con quest’ordine del giorno. Questo braccio di ferro con l’Europa giocato sulla pelle di centinaia di persone, a partire dai due casi Diciotti e i casi Aquarius e Sea Watch, è una farsa. Loro chiedono che l’Europa si assuma le proprie responsabilità o che siano gli altri stati ad “aprire i porti” per usare il linguaggio chiaro alla propaganda, ma Salvini non vuole che, ad esempio, Malta, se ne faccia realmente carico; sono solo parole, come si suol dire; lui è allineato con la posizione del Primo Ministro dell’Ungheria Orbán: nessuno deve accogliere perché loro in Europa le persone migranti non le vogliono. L’antiabortista Lorenzo Fontana è stato forse più sincero di Salvini nel dire che la sua linea è quella di impedire una fantomatica “sostituzione etnica”. Ovviamente lo spauracchio è sempre quello del terrorismo, delle differenze culturali insormontabili, della cultura musulmana troppo dissimile dalla “nostra” – che prima era cultura padana adesso è diventata italiana -.
Che poi vajelo a spiega’ che molti nigeriani sono perseguitati in quanto cattolici.
A proposito di terrorismo: Francesco Floris in un’inchiesta uscita su Linkiesta sugli sbarchi fantasma che avvengono in Sicilia scrive che “la nuova politica migratoria dell’Italia inaugurata da Matteo Salvini sotto lo slogan del zero soccorsi, zero sbarchi, zero migranti e – dice lui – zero vittime, ha un aspetto paradossale: “gli sbarchi ci sono lo stesso, come mostrano i dati del suo ministero; i migranti e le vittime in mare pure; e tutto questo mentre non si ha più la pallida idea di chi entra sul territorio nazionale”.
A questo si aggiungono i tagli ai fondi destinati ai rimpatri volontari assistiti e, diciamocelo, se uno sbatte la gente per strada da un giorno all’altro come avvenuto recentemente con sgombero del Cara di Castelnuovo di Porto, saprà che la conseguenza sarà incrementare quella assenza di “decoro” (per usare un linguaggio caro a Minniti) a cui invece dice di aspirare; i casi sono due: o cerca davvero “di rimandarli a casa loro” oppure deve trovare un’alternativa, in entrambi i casi violerebbe e sta violando i diritti umani.
La domanda è: chi ci racconta palle dicendo che ognuno dovrebbe stare a casa propria e che i nostri porti devono restare chiusi – che come abbiamo visto è una cazzata -, è davvero convinto della corrispondenza del suo operato con quanto scritto – in un post datato 5 giugno – quattro giorni dopo l’insediamento del Governo Conte?
«Il nostro obiettivo è salvare vite e far sì che ognuno stia meglio a casa sua, perché tutti hanno il diritto di vivere, crescere e metter su famiglia nel Paese in cui sono nati. Sbaglio?».
(Ultimo prestito dal linguaggio tecnico) siamo di fronte a un’altra fallacia nel ragionamento, la fallacia ad misericordiam, che consiste nel tentare di far leva sul sentimento di pietà – una pietà in questo caso ancora più ipocrita- di chi lo legge. L’obiettivo è quello di far vivere tutti bene nei propri paesi…ma di quali paesi stiamo parlando? Di quelli come l’Eritrea in cui c’è servizio militare obbligatorio indeterminato per tutti e tutte, descritto come “una prigione” da chi l’ha vissuto in prima persona; dove per chi fa obiezione di coscienza la pena è l’ergastolo in condizioni che ledono i diritti umani, come denunciato da un rapporto di Amnesty International; vogliono far vivere bene nel proprio paese persone che magari hanno semplicemente deciso di farsi una vita diversa altrove, come fanno migliaia d italiani, a quanto riportano i dati sull’ingente crescita di italiani che si sono trasferiti all’estero.
Ma sapete chi più mi fa paura? I suoi seguaci, coloro che letteralmente lo venerano, gli elettori che ogni giorno si abbeverano alla fonte della sua propaganda; coloro che gli hanno permesso di iniziare a governare attraverso decreti legge, esautorando il Parlamento delle sue funzioni, con la scusa di trovarsi in uno stato di perenne emergenza.
Mi è rimasto impresso un commento al post citato prima, di uno che ho scoperto essersi candidato come consigliere comunale nella lista di un sindaco con un passato nel Fronte della Gioventù e in Alleanza Nazionale.
Quest’uomo – e chi ha commentato dopo di lui – è preoccupato che il suo mare catanese sia invaso da cadaveri e che questi cadaveri vengano mangiati dai pesci che finiscono sulla sua tavola e su quelle dei suoi concittadini. Quest’uomo spera che tutto cambi e che l’Italia diventi un paese «non dico razzista ma che si adegui come gli altri paesi»; costui è convinto che sia normale pensare a una cosa del genere «ma nessuno ne parla» e, ovviamente, c’è chi gli viene in soccorso, chi concorda con lui «tanto è vero che ho vietato a mia figlia l’Italia mare», chi sostiene che sia un «ragionamento veramente logico che ho fatto subito nel momento in cui le barche sono iniziate ad affondare» e la butta pure sull’ambientalismo «io personalmente per il pesce mi accerto che provenga da oceani e non dal Mediterraneo. Ovvio che con tutto l’inquinamento che facciamo nel mare in generale (compresi oceani), non dovremmo più mangiare pesce». E quando qualcuno finalmente fa notare al nostro eroe che, oltre ad essere un razzista, è pure raccapricciante, lui sciorina lezioni di storia e di geopolitica, tutte d’un fiato, quasi da sembrare una poesia futurista tanto è il nonsense che vi si cela (non troppo velatamente). Ed è nel pieno di questo inno alla super cazzola che finalmente dice la fatidica frase «non sono razzista anzi ho molti amici di colore che trovo molto più umani di noi bianchi, inoltre mia moglie lavora ed è responsabile qui a Catania in un ipab centro di accoglienza per immigrati, e per queste persone disperate da l’anima e cuore, attenzione, sono minorenni».
«non sono razzista anzi ho molti amici di colore che trovo molto più umani di noi bianchi».
C’è da commentare? Fiumi di parole sono già stati scritti sulla locuzione «non sono razzista ma», in questo caso ci troviamo di fronte alla variante in cui per bilanciare le brutture dette fino a quel momento, assicura di avere molti amici “di colore”. Il che farebbe di lui automaticamente una persona assolutamente non razzista. Stiamo parlando di quello che pensa ai pesci che a sua volta si deve magnà lui, capito?
Non vi ricorda l’affermazione di un altro ministro? Sì, è sempre lui, Lorenzo Fontana.
Colui che ha affermato di avere tanti amici gay per scrollarsi di dosso le accuse di omofobia.
Stesso partito, stessa strategia, stessa visione distorta del mondo e stessa mancanza di progettualità politica.
Tutta apparenza e comunicazione per meme e slogan.
D’altronde, siamo nella società dello spettacolo.
Autrice
Lorenza Neri