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“Mangiamo quello che siamo, purtroppo, ma dovrebbe essere il contrario”

Nella foto - Laboratorio Sociale Alessandria

Nell’articolo “Zitto/a e mangia” pubblicato sul Numero 15 del 20 settembre scorso, Lucia Tolve poneva alcuni interrogativi rispetto alla correlazione tra modo di mangiare e “rapporti sociali nel loro complesso” e sollecitava una riflessione sulla capacità delle scelte individuali di generare effettiva trasformazione complessiva e sulla necessità del cambiamento dell’intera filiera produttiva.
Alcune di quelle stesse domande e di quelle riflessioni le proponiamo in quest’articolo a Luca Gaino che, laureato in chimica con il titolo di PhD, al termine del contratto di Dottorato, si è trasferito alle pendici delle Alpi marittime bassopiemontesi ed ha avviato un’azienda agricola basata sull’allevamento della capra e sulla produzione casearia e vitivinicola.

Quell’articolo iniziava con una domanda: “siamo quello che mangiamo o mangiamo quello che siamo?”
Le nostre abitudini, anche quelle alimentari sono frutto della trasformazione storica e culturale. Quale pensi sia la direzione verso cui la società attuale sta andando?
Purtroppo la direzione verso cui stiamo precipitando va di pari passo con il resto delle cattive abitudini che contraddistinguono la nostra epoca: tutto subito, possibilmente di bell’aspetto e poco importa del domani. Faccio un esempio, secondo me, emblematico. Esistono circa 3mila varietà di mele diverse ma quando andiamo al supermercato ne troviamo solamente tre. Questo avviene perché il mercato propone ciò che accuratamente seleziona, trascurando aspetti fondamentali propri della coltivazione necessaria ad ottenere quella mela, per la quale serviranno più diserbanti ma meno lavoro. Altre specie richiederebbero più lavorazioni della pianta e del terreno ma non sono valorizzate.
Da un lato c’è l’omologazione delle varietà dall’altra il controllo delle sementi. La maggior parte dei semi venduti o delle piantine acquistate sono ibridi e costringono di fatto ogni anno ad un nuovo acquisto.
Mangiamo quello che siamo, purtroppo, ma dovrebbe essere il contrario. Compriamo con gli occhi prodotti da vetrina. Dovremmo pretendere che ci sia scritto su frutta e verdura i trattamenti e i prodotti utilizzati.

Grandi imprenditori si fanno promotori di cibo buono, giusto e pulito. Vedi campagna slowfood #foodforchange. Da piccolo produttore locale cosa pensi di queste campagne?
Mi viene da ridere. Grande produttore e alta qualità cozzano. Quantitativi elevati di prodotti passano necessariamente da un’agricoltura intensiva, dall’impoverimento e da un maggior sfruttamento del terreno.
Nonostante io sia un produttore certificato biologico ti dico che il “Bio” è una moda. Io faccio biologico ma so molto bene cosa sono pesticidi e diserbanti.
Il sistema del biologico è spesso una fuffa. Per ottenere la certificazione del biologico è necessario contattare uno degli enti privati accreditati dallo Stato e fare richiesta. A seconda di quello che vuoi certificare, paghi. I controlli più che sui prodotti vengono effettuati sulla fatturazione. Questo è un sistema facilmente raggirabile, soprattutto dai grandi produttori; è una vecchia storia all’italiana: il controllore è il controllato.

Perché hai fatto la scelta di diventare un piccolo produttore locale e pensi che in qualche maniera il rapporto con il cibo possa essere “rivoluzionario”?
La mia è stata una scelta di vita dettata dal fatto che io nel rapporto con la terra veda il futuro. La struttura della città non è sostenibile, genera necessariamente sfruttamento, emarginazione e discriminazioni.
La popolazione mondiale è di circa sette miliardi, in aumento e non ci sono risorse alimentari per tutti. O meglio, ci sarebbero se cambiassimo abitudini alimentari e di vita, il cibo è un fattore importante, se le cose continueranno nella direzione che hanno oggi, inizieremo ad avere migrazioni dovute allo sfruttamento dei terreni o alle espropriazioni destinate ad uso agricolo. Rivoluzionario è l’atteggiamento, l’attenzione che dovremmo avere nel rapporto con il cibo e soprattutto con chi lo produce.

Autrice

Marta Sofia