Qualche giorno fa a Novara, la città che lo scorso 26 maggio ha ospitato la r-esistenza arcobaleno del Pride 2018, un nuovo regolamento di Polizia Urbana è stato approvato.
Tra gli oltre 60 articoli ivi contenuti, alcuni hanno destato l’attenzione mediatica più di altri e, se in città la minoranza (a guida PD, n.d.a.) si è preoccupata soprattuto degli aspetti relativi alle ricadute economiche dell’articolo 34, relativo al divieto “agli esercenti di attività artigianali del settore alimentare, circoli o altri punti di ristoro, di vendita per asporto di bevande di qualsiasi genere in contenitori di vetro”, fuori dal comune dell’alto Piemonte la pietra dello scandalo è stata scagliata nei termini di un generico “divieto di indossare abiti succinti”.
Ad una prima lettura lontana dall’ubriacatura di sensazionalismo che i media portano con sè, ci è sembrato comunque che la questione fosse un po’, come dire: più complicata. E che si inserisse in qualche modo in quella politica del decoro che in una (non troppo) assurda parabola politicante va da Minniti e giunge fino all’attuale Salivini.
Ne abbiamo parlato con Angela, una cittadina novarese, che ci ha esposto molto lucidamente fatti e risvolti.
Cosa pensi del fatto che il regolamento di Polizia Municipale appena approvato dal Consiglio Comunale della tua città faccia riferimento al “comune senso del pudore”?
Credo che, oltre alla discutibilità del contenuto, il regolamento abbia un altro grande limite: è incompleto! Non definisce in alcun modo il “comune senso del pudore”, lasciando così al corpo di Polizia Locale il diritto alla discrezionalità e l’assoluta libertà individuale in materia. Il fatto che, circolando sul suolo pubblico, i cittadini novaresi siano o meno soggetti ad una sanzione amministrativa, dipenderà esclusivamente dai gusti dei singoli vigili urbani.
A livello mediatico il divieto ad offendere il “comune senso del pudore” è stato declinato in varie forme; la forma più virale e che sembra aver suscitato più scalpore è “divieto di indossare abiti succinti”. Questo ha chiaramente provocato lo sgomento e l’indignazione tanto dei singoli cittadini, quanto dei gruppi che sul territorio si occupano di lotta alle disparità di genere, che hanno sentito il dovere di prendere posizione, rivendicando il diritto di ognuna ed ognuno ad autodeterminarsi anche attraverso l’abbigliamento.
È invece passato in sordina un altro aspetto: quando il regolamento cita l’offesa al “comune senso del pudore” potrebbe non riferirsi esclusivamente alle gonne ”troppo corte”, ma anche alle vesti “troppo lunghe”, che “coprono troppo”, e non lasciano scoperto il capo o parte del viso. O, ancora, potrebbe fare riferimento a capi d’abbigliamento considerati “poco decorosi” perché indossati da chi, vivendo ai margini delle strade e della società, evidenzia le responsabilità e le mancate azioni delle istituzioni in materia di tutela e garanzia dei diritti fondamentali.
Partiamo da questo elemento perchè è stato quello che, soprattutto sui social, ha dato il via alle maggiori polemiche. Ma forse vale la pena di ragionare in maniera più ampia del regolamento. Cosa ne pensi del fatto che sempre più il concetto di “sicurezza” sia associato (fino a diventare identificato) con quello di “decoro urbano”?
A Novara, grazie alle azioni messe in atto da Giunta e forze dell’ordine, è ormai un’abitudine il fatto di associare il concetto di “sicurezza” a quello di “decoro urbano”. Novara è infatti la città nella quale la ex giunta PD ha deciso di gestire l’emergenza abitativa allontanando coloro che subivano uno sfratto dal centro abitato, collocandoli in un complesso di container difficilmente raggiungibile a piedi (Villaggio ex Tav), così da rendere apparentemente invisibile ciò sarebbe potuto apparire come poco decoroso e causare insicurezza.
Ma Novara è anche la città nella quale, da quando si è insediata la nuova giunta (Lega), periodicamente vengono effettuati dei plateali blitz che prevedono il blocco delle strade che permettono di raggiungere il piazzale della stazione, al fine di identificare ognuno dei presenti ed allontanare chi sosta sul prato del piazzale, in quanto questo pare essere indecoroso.
Il regolamento appena approvato si inserisce perfettamente in questo quadro, in quanto prevede l’adozione della misura di sicurezza chiamata “daspo urbano”: chi potrebbe creare situazioni che vanno a ledere la sicurezza o chi, a discrezione dei vigili, pare essere “poco decoroso”, potrebbe venire allontanato dalla zona per 48 ore.
In un articolo su Linkiesta, Andrea Coccia scrive che la Lega “mentre si vanta di essere l’ultimo baluardo della cultura occidentale e tricolore contro l’avanzata dei barbari musulmani, in realtà ha un approccio alla vita, alla bellezza, alle libertà individuali e al godimento che interesserebbe molto quel mattacchione del califfo al-Baghdadi”. Cosa ne pensi? Dove sta la libertà?
Credo che il tipo di approccio al quale si ispira il regolamento approvato dalla giunta rientri alla perfezione in un progetto più ampio, che va ben oltre la città nella quale vivo. Un progetto a lungo termine che ha lo scopo di reprimere qualunque forma di dissenso. Il primo passo è quello di privare i cittadini della loro individualità, delle loro caratteristiche.
Il sindaco della tua città, in un articolo pubblicato da LaStampa, ha difeso il regolamento dicendo: “È stata fatta passare per stravagante ed eccezionale una cosa normalissima, disciplinata da tutte le Amministrazioni a prescindere dall’appartenenza politica, perché tutti abbiamo gli stessi problemi e cerchiamo gli strumenti adeguati per risolverli in modo efficace”. Forse vale la pena ragionare sul fatto che tutto questo sia “una cosa normalissima”…
Il fatto che il sindaco Canelli definisca normalissimo il contenuto del regolamento e le misure che verranno adottate per sanzionare i comportamenti vietati deve metterci in allarme. La ragione principale è che gran parte del contenuto del citato regolamento si ispira a idee e leggi che hanno regolato (anche solo informalmente) l’Italia durante il ventennio. Sembra assurdo vietare l’assembramento di un gruppo di persone che si ritrovano in un parco per mangiare insieme un panino, invece è legge. Sembra assurda, per chi è cresciuto a Novara, l’idea di vietare la sosta sotto le statue, i monumenti o le vecchie mura romane, tipici simboli di ritrovo per i giovani novaresi, invece è legge. Sembra assurdo il fatto di doversi adattare ad un dress-code per poter camminare per strada senza essere sanzionati, invece è legge.
In un periodo storico in cui il Ministro dell’Interno (quindi capo della Polizia) parla di situazione di assedio, ordine e sicurezza, misure come quelle adottate dal regolamento diventano un chiaro segnale della deriva xenofoba e terroristica alla quale ci stiamo rapidamente avvicinando.
E adesso? Cosa sta accadendo a Novara?
I novaresi si sono schierati solo idealmente contro parte del contenuto del regolamento (principalmente la parte relativa alle limitazioni riguardanti l’abbigliamento), ma per ora non è stata promossa o proposta alcuna iniziativa formale (petizioni, raccolte firme..).
L’associazione LGBTQUIA NovarArcobaleno ha invece lanciato un’iniziativa: il flash mob “Novara indecorosah” (qui l’evento Facebook, n.d.a.), un’occasione nella quale riflettere, anche in modo goliardico, sulle limitazioni imposte dal regolamento e sul senso del concetto di “decoro”.
Autori
ph. Facebook Novara Pride 2018