Storie di libraie e librai, editrici ed editori, scrittrici e scrittori (indipendenti, s’intende!)
Nel 2012 un gruppo di lavoratori dell’editoria, di fronte alle difficoltà delle rispettive realtà lavorative, a mancati pagamenti, ad incertezze crescenti riguardo al futuro decidono di iniziare una nuova esperienza e danno vita alla cooperativa editoriale Red Star Press. Una piccola casa editrice che in questi anni si è ritagliata uno spazio significativo nell’editoria indipendente, con lo scopo di “riproporre in chiave popolare i testi-chiave dei giganti della politica, alimentare la domanda di conoscenza, dare spazio alla contestazione e all’espressione con la memorialistica e la narrativa di movimento.” Cristiano Armati, militante dei movimenti sociali, con una lunga esperienza in altre case editrici, scrittore a sua volta, è il Direttore editoriale di Red Star Press. Lo abbiamo intervistato per Parole di Carta
Scrittore, direttore editoriale, editore. Sei nel mondo dell’editoria da anni e con ruoli diversi. Come lo hai visto cambiare nel tempo?
Lavoro nell’editoria dal 1999: basti dire che quando ho cominciato c’era ancora la lira! Per questo non è semplice parlare di “cambiamento”, le mutazioni, infatti, sono state diverse: pensiamo soltanto all’avvento delle tecnologie della stampa digitale, per quanto riguarda la produzione, mentre, sul fronte della lettura, abbiamo assistito non tanto – o non solo – alla comparsa degli ebook con le relative device di lettura elettronica, tra l’altro sempre più sofisticate e piacevoli, ma alla molto più profonda trasformazione provocata dall’accoppiata smartphone-social network, con cui il libro deve fare i conti con una competizione per la conquista del tempo libero sempre più agguerrita. Anche se tale competizione ha penalizzato molto di più l’editoria periodica (chi legge più i quotidiani cartacei oggi?) rispetto a quella libraria, ce ne sarebbe già abbastanza per dedicare a tali argomenti tutti gli innumerevoli trattati socio-antropologici già scritti. Quello di cui si parla poco, però, resta, per quanto mi riguarda, la cosa più importante da dire: il confronto tra 1999 e 2019 deve tenere conto della più grande crisi economica mai attraversata dall’intero Occidente dai tempi della fine della seconda guerra mondiale. Un vero e proprio dispositivo bio-politico che non si è limitato, per dirlo in parole semplici, a lasciare sempre meno soldi nelle tasche delle persone – che oggi hanno più problemi di un tempo a pagare affitti o a mettere insieme il pranzo con la cena, figuriamoci quindi a investire in libri… – ma che, acuendo ulteriormente l’annoso conflitto tra capitale e lavoro, ha valorizzato oltremisura la rendita, finendo per ridisegnare tutto lo spazio che abitiamo. Cosa c’entra questo con i libri? Moltissimo: pensiamo soltanto alle innumerevoli librerie costrette a chiudere perché incompatibili con i costi degli affitti e avremo un buon punto di partenza per iniziare a parlare della diversità tra il contesto in cui si producono, vendono e leggono libri oggi e quello in cui si producevano, vendevano e leggevano in passato.
Le definizioni in quest’ambito sono sempre un po’ riduttive. Ma senza dubbio Red Star Press rientra in quella che si definisce editoria di movimento, politica, di controcultura e così via. Ci racconti come e perché è nata l’idea di questa casa editrice e cosa rappresenta ora per te?
Come tanti lavoratori, e certamente non solo del comparto editoriale, io e i miei colleghi, con l’avvento della crisi, ci siamo trovati a fare i conti con il crescente fenomeno della precarizzazione e con la sottovalutata ma altrettanto grave realtà di una dequalificazione generalizzata. A nemmeno quarant’anni, in sostanza, abbiamo dovuto affrontare la nostra sostanziale espulsione dal mercato del lavoro. Se a questo si aggiunge il fatto che l’abbandono della storia e della cultura del movimento operaio stava letteralmente gridando vendetta, si può capire come e perché abbiamo avuto l’idea di costituire una cooperativa editoriale che alla storia e alla cultura del movimento operaio deve la sua fondazione e la sua ispirazione.
Ci parli brevemente del catalogo di Red Star?
Oggi, dopo sette anni di lavoro “matto e disperatissimo”, abbiamo superato i 150 titoli, organizzati nelle collane “I libretti rossi”, dedicata ai giganti del pensiero politico, “Unaltrastoria”, con cui si esplorano le radici rimosse del passato collettivo, “Tutte le strade”, dove pubblichiamo reportage, poesia e narrativa di movimento, “Le fionde”, in cui trovano spazio i classici che desideriamo proiettare nel futuro, e “Red Star Kidz”, pensata per iniziare a pubblicare anche libri per bambini. Accanto al nostro marchio principale, come cooperativa editoriale, produciamo anche Bizzarro Books, con cui tocchiamo i tempi dell’arte ipercontemporanea, ed Hellnation Libri, di carattere più spiccatamente controculturale, costruita intorno agli assi portanti della musica e dello sport, sempre interpretati da un punto di vista popolare.
Come scegli i libri da pubblicare?
Riallacciandomi al filone della critica antipsichiatrica dico che è il villaggio a fare il matto e non il contrario. Allo stesso modo sostengo che non è l’editore a fare i libri, ma sono i libri a fare l’editore: sono loro, insieme a ciò che hanno da dire, a cercarci per le strade e nelle piazze, noi, al massimo, li aiutiamo a venire alla luce.
Ce n’è uno, o più di uno, che sei particolarmente felice di aver pubblicato?
Passo perché dovrei fare un elenco lunghissimo che, puntualmente aggiornato, è già on-line all’indirizzo redstarpress.it…
Per molti editori medio-piccoli uno dei nodi cruciali è quello della distribuzione. Cosa ci puoi dire in proposito?
Che per quanto ci riguarda il discorso è più vero se lo spostiamo dal distributore classicamente inteso alle librerie che, come dicevo prima, pagano in modo molto forte tutti i problemi legati sia al deprezzamento del lavoro in rapporto alla rendita – oggi ci vogliono diversi mesi di stipendio di un operaio per pagare un affitto in una grande città! – che la concorrenza con i grandi store on-line. Dal mio punto di vista, credo paghino anche una sorta di interiorizzazione della paura. Voglio dire che qualcuno interessato a farlo ha raccontato che i temi del conflitto di classe e delle lotte di liberazione – cioè i principali attori del nostro catalogo – era roba morta e sepolta insieme al Novecento e molti, troppi, ci hanno creduto, finendo per distaccarsi da pezzi sempre più importanti di lettori. In un certo senso direi che la sorte di molte librerie è stata od è simile a quella di una presunta “sinistra” che, più realista del re, ha superato a destra anche la destra sul terreno del liberismo, piangendo poi il distacco dalla sua base di riferimento e un crollo culturale prima che elettorale.
È sicuramente una questione ampia e complessa, ma cosa sarebbe necessario a tuo parere per ridare respiro ad un mercato sempre più in difficoltà e sotto pressione come quello degli editori e delle librerie indipendenti?
Sono convinto che i problemi dei libri possano e debbano essere risolti soltanto fuori dai libri. Il nostro motto, da questo punto di vista, è: «Cosa ci facciamo di un libro se non abbiamo un reddito decente e neppure una casa?».
Parafrasando un antico detto africano, ogni volta che una famiglia viene sfrattata per morosità incolpevole, ogni volta che uno spazio sociale viene sgomberato e ogni volta che un lavoratore viene licenziato, magari grazie al Jobs Act, è un biblioteca che brucia. Esattamente come la sinistra – o meglio, esattamente come chi intende restare parte di quel movimento reale che abolisce lo stato di cose presente – l’editoria indipendente non ha alternative: deve ripartire dalle lotte e ricominciare a vincere insieme alla sua classe di riferimento, il popolo.
Autore
Fabio Bertino