“Cioè si manifesta a favore di un arrestato? Ma ci stanno con la testa?”
“Fare accoglienza e beneficenza con i soldi degli italiani è facile per non dire altro.”
“Vorrei vedere la stessa mobilitazione per chi viene arrestato se ruba per mangiare.”
I commenti degli utenti del Web alla notizia che sabato 6 ottobre in Piazzetta della Lega ci sarà un presidio in solidarietà a Mimmo Lucano, organizzato da DemA Alessandria alle 16.00, sarebbero anche comprensibili se la persona finita martedì mattina agli arresti domiciliari non fosse Mimmo Lucano.
Anche tralasciando il fatto che in Italia esiste la presunzione di innocenza, secondo cui l’imputato è innocente fino a condanna definitiva, la solidarietà che si è attivata nei confronti del Sindaco di Riace e della sua comunità ha ben altra origine.
Mimmo Lucano non ha rubato. Mimmo Lucano non ha intascato un centesimo dei fondi destinati al suo Comune per i progetti di accoglienza rivolti ai richiedenti asilo. Lo dice anche il giudice per le indagini preliminari che ha smontato gran parte dell’impianto accusatorio, pur autorizzando l’ordinanza di custodia cautelare. Non c’è l’associazione a delinquere ipotizzata dagli inquirenti né è stata riconosciuta la sussistenza di un ingiusto vantaggio patrimoniale.
Al primo cittadino, che da martedì si trova agli arresti domiciliari, vengono contestati il favoreggiamento all’immigrazione clandestina e l’affidamento diretto di due appalti per la pulizia delle spiagge e per la raccolta e il trasporto dei rifiuti a due cooperative sociali per l’integrazione lavorativa dei migranti.
Fino a pochi giorni fa di lui si era sentito parlare solo in merito all’ormai noto “modello Riace”, punto di riferimento in materia di accoglienza e integrazione per tutte e tutti coloro che provano a ragionare su alternative concrete all’accoglienza emergenziale che dopo una prima fase di assistenzialismo non è in grado di costruire prospettive a lungo termine per chi, già bloccato dalla lungaggine delle pratiche di richiesta d’asilo, deve attendere anche anni prima di iniziare a realizzare i suoi progetti di vita, con il rischio concreto di veder sgretolarsi il castello dopo la risposta della Commissione.
Nella gestione dell’accoglienza di Mimmo Lucano, definita “disordinata” dal Gip, qualche illecito c’è. E il Sindaco lo rivendica senza paura.
È la disobbedienza civile contro le maglie strette della legge, ciò che è giusto anche se non è legale.
In un Paese reso totalmente inospitale negli anni dalla legislazione in materia di immigrazione, dalla Bossi-Fini al Decreto Salvini passando per il Decreto Minniti, un sindaco che favorisce il matrimonio tra una donna nigeriana e un residente per evitare che venga rispedita all’inferno è un criminale. Così come affidare un appalto ad una cooperativa sociale che si impegna per l’integrazione socio-economica dei migranti è più grave che sottrarre 49 milioni di euro in rimborsi elettorali. Il primo reato vale un’ordinanza di custodia cautelare, per il secondo invece è sufficiente firmare un accordo per la restituzione del bottino in ottanta rate.
Il problema, con buona pace del Ministro dell’Interno, è che ai “buonisti che vorrebbero riempire l’Italia di migranti” non sfugge l’ingiustizia di questo trattamento né il retroscena politico dell’arresto.
L’occhio giallo-verde del Grande Fratello si era già fissato sul Sindaco di Riace la scorsa estate quando aveva deciso di escludere il Comune calabrese dagli enti beneficiari dei finanziamenti per i progetti di accoglienza, con il preciso obiettivo di eliminare una delle migliori esperienze di accoglienza e integrazione in Europa, un po’ come a voler cancellare le prove che un altro modello di comunità è possibile. Lucano aveva risposto con uno sciopero della fame o meglio con un “digiuno di giustizia” come lo aveva lui stesso definito.
Qualche mese dopo, a digiuno di giustizia rischiamo di rimanerci a lungo se non riusciamo a comprendere perché dobbiamo stare dalla parte di Mimmo Lucano.
Autrice