«Quando io uso una parola» disse Humpty Dumpty in tono alquanto sprezzante, «questa significa esattamente quello che decido io… né più né meno.» «Bisogna vedere» disse Alice «se lei può dare tanti significati diversi alle parole.»
«Bisogna vedere» disse Humpty Dumpty «chi è che comanda… tutto qua.»
Vi è già capitato di imbattervi in questa sentenza: “le parole creano la realtà che ci circonda”?
Humpty Dumpty, l’uovo antropomorfizzato che Alice incontra in Attraverso lo specchio e quel che Alice vi trovò, probabilmente avrebbe concordato con quello che il linguista John Langshaw Austin affermò durante alcune sue lezioni universitarie, pubblicate con il titolo “How to do things with words”: si possono fare cose con le parole.
Ci sono due modi di intendere quanto appena detto: da un parte c’è il valore performativo di certi atti linguistici, parole che, nel momento in cui vengono dette, modificano la realtà circostante. L’esempio classico è quello del matrimonio: nel momento in cui i futuri sposi pronunciano il fatidico “sì”, nel dirlo cambiano uno stato di cose, quel “sì” è esso stesso un’azione. Dall’altra, però, è essenziale riconoscere che anche frasi con valore puramente descrittivo possono costruire il mondo circostante, dal momento che la narrazione non è mai neutra. “Le parole sono pietre” scrisse qualcuno che la guerra partigiana l’ha combattuta, le parole sono armi e più potere ha chi le impugna e più sono distruttive.
Ecco perché è così importante riappropriarsi di certi termini e comprendere la realtà a cui danno voce.
Non è quindi un caso che il movimento intersezionale Non una di meno abbia riservato una sezione dedicata al linguaggio all’interno del Piano femminista contro la violenza maschile sulle donne e la violenza di genere:
«Il linguaggio non è solo un’istituzione sociale o uno strumento di comunicazione, ma anche un elemento centrale nella costruzione delle identità, individuali e collettive. La lingua italiana è una lingua sessuata, che già dalla sua grammatica riproduce e istituisce un rigido binarismo di genere (tra nomi, pronomi e aggettivi che cambiano a seconda se maschili o femminili) e una specifica gerarchia, in cui predomina il maschile, presentato come universale e neutro. (…) Consapevoli che le lingue mutano e si evolvono, proviamo a rendere il nostro linguaggio inclusivo per avere nuove parole per raccontarci e per modificare i nostri immaginari».
Quindi, dal momento che il linguaggio è performativo, così come lo è il genere, come afferma Judith Butler, e la lingua – al contrario del linguaggio – è una costruzione sociale esterna all’essere umano, allora tutt* noi possiamo contribuire a modificarla e a metterne in luce i retaggi culturali che si porta dietro.
Chiediamoci più spesso cosa significano le parole, possediamole, non lasciamoci possedere da esse.
Ecco, dunque, un glossario utile per un linguaggio il più inclusivo possibile, uno strumento per tentare di scardinare ogni tipo di automatismo che mettiamo in atto quotidianamente quando comunichiamo.
Sappiamo davvero qual è la differenza tra espressione di genere e ruolo di genere? E quella tra sesso biologico e identità di genere?
In vista del primo Pride di Alessandria che avrà luogo sabato 1 giugno, fare una corretta informazione – così come è stato fatto dalle studenti e dagli studenti all’interno degli Istituti superiori di secondo grado il 17 maggio scorso nella Giornata contro l’omofobia, la bifobia e la transfobia – può esser un ottimo punto da cui partire.
Identità sessuale
Costrutto multidimensionale composto da quattro distinte componenti, totalmente indipendenti tra loro:
– Sesso biologico
– Identità di genere
– Orientamento sessuale
– Espressione di genere
Sesso biologico
Criterio di classificazione delle persone come maschio o femmina. L’assegnazione alla nascita al sesso maschile o femminile è basata su caratteristiche anatomiche (genitali e organi riproduttivi) e biologiche (cromosomi sessuali e livelli ormonali).
Intersessualità
Termine ombrello usato per riferirsi a persone nate con un apparato riproduttivo, e/o un’anatomia sessuale, sia interna che esterna, e/o una situazione cromosomica che non rientrano nelle definizioni binarie di maschile e femminile. Secondo alcune stime, tra l’1% e il 4% della popolazione nasce con tratti intersessuati. La varietà di queste situazioni è molto ampia e non sempre individuabile alla nascita. Capita spesso, infatti, che vengano riscontrate solo in età puberale o adulta, a seguito di problemi nello sviluppo o nella fertilità.
Nonostante queste variazioni generalmente non minaccino la salute fisica (solo in certe circostanze ci sono correlati problemi di salute), spesso le persone intersessuali subiscono, fin dalla nascita o nel corso del tempo, interventi chirurgici e una pesante medicalizzazione finalizzati a rendere i loro corpi conformi ai codici della mascolinità o femminilità e ad assegnare loro a uno dei due sessi.
Molti di loro vengono infatti chirurgicamente riportati a una “normalità sessuale” attraverso vere e proprie mutilazioni genitali, decisa unicamente da medici e genitori, che non necessariamente però andrà a coincidere con una loro identità sessuale o cromosomica.
L’identità di questi bambini e bambine è, quindi, arbitrariamente stabilita da medici e genitori, che vengono spronati a crescerli secondo l’identità sessuale in cui sono stati fatti rientrare, e, se anche in alcuni casi l’identità chirurgicamente imposta può coincidere con quella reale dell’individuo, non è sempre questo il caso.
Genere
Termine utilizzato per riferirsi a quell’insieme di caratteristiche, comportamenti, usi, abitudini che nel corso del tempo e nei diversi luoghi del mondo le persone hanno considerato per definire cosa significa essere donne o uomini. Quando si parla di genere, tendenzialmente si parla infatti di uomini e donne, non di maschi e di femmine, termini più legati al sesso biologico.
Il termine genere è stato usato per la prima volta negli anni cinquanta del secolo scorso per distinguere l’identità e il ruolo in cui l’individuo si riconosce dall’anatomia dei suoi genitali. Per molto tempo, infatti, si è ritenuto che il sesso inevitabilmente coincidesse con il genere e lo determinasse, senza scarti né infrazioni. Si è, quindi, sentita la necessità di differenziare la categoria anatomica e biologica di appartenenza (sesso) dalle categorie psicologiche e sociali di uomini e donne (genere) così come vengono a “costruirsi” culturalmente e ad articolarsi nei contesti relazionali. Possiamo quindi affermare che il genere, a differenza del sesso biologico, è un costrutto sociale e culturale.
Espressione di genere
Le varie modalità con le quali una persona esprime il proprio genere attraverso il modo di porsi e di interagire con gli altri, di vestirsi, di presentare il proprio corpo, le caratteristiche fisiche, le espressioni della voce.
Ruolo di genere
L’insieme delle aspettative e dei modelli sociali che determinano come gli uomini e le donne si debbano comportare in una data cultura e in un dato periodo storico.
Identità di genere
La percezione interiore che una persona ha rispetto al proprio genere, ovvero se si percepisce come uomo, donna, o in qualcosa di differente da queste due polarità. L’identità di genere può corrispondere o meno al sesso biologico assegnato alla nascita e non riguarda l’orientamento sessuale, dal quale è totalmente indipendente.
Quando sesso biologico, identità di genere ed espressione di genere “corrispondono” si parla di persone cisgender. È una persona cisgender, per esempio, chi ha un sesso biologico maschile e si percepisce come uomo (identità di genere).
Al contrario, quando tale “corrispondenza” tra sesso biologico, identità di genere ed espressione di genere non c’è, si parla di persone trans*. È il caso, per esempio, di una persona che nasce con un sesso biologico femminile ma si percepisce come uomo (identità di genere).
Le due parole che più si utilizzano, spesso impropriamente, per definire le persone trans* sono transessuale e transgender.
Il termine transessuale ha origini mediche e solitamente veniva e viene usato per indicare una persona che, per raggiungere una corrispondenza tra identità di genere e sesso biologico, intraprende un percorso chirurgico ed ormonale di adeguamento del proprio corpo.
Il termine transgender si riferisce invece a una persona che non necessariamente vuole intraprendere tale percorso. Non tutti i percorsi di transizione arrivano infatti alla riattribuzione chirurgica di sesso, in quanto molte persone raggiungono il proprio benessere psico-fisico intraprendendo solo alcuni interventi chirurgici e/o un percorso ormonale volti a modificare esclusivamente alcuni caratteri sessuali secondari.
Per dare voce a queste e a tante altre differenze legate all’identità di genere, come le persone non binarie, negli ultimi anni si è diffuso il termine ombrello trans*.
Quando si parla di/con persone trans* è corretto utilizzare pronomi, articoli, aggettivi coerenti con la loro identità di genere e la loro espressione di genere.
Si utilizza quindi il femminile, ad esempio “la” o “una” trans*, per indicare persone a cui alla nascita è stato assegnato il sesso biologico maschile e che percepiscono la propria identità di genere come femminile (MtF – Male to Female) e il maschile, ad esempio “il” o “un” trans*, per indicare persone a cui alla nascita è stato assegnato il sesso biologico femminile che percepiscono la propria identità di genere come maschile (FtM – Female to Male).
Genere non binario
Il genere non binario è l’identità di genere che indica chi non si riconosce nel binarismo di genere uomo/donna. Le persone con identità non binaria non si riconoscono e non riconoscono la costruzione binaria del genere, ovvero l’idea che esistano solo due generi, maschile e femminile; possono considerare la propria identità di genere come qualcosa di “altro” (una sorta di genere neutro), con nessuno dei due (agender), identificarsi con entrambi i generi o con una combinazione di entrambi (genderfluid).
Alcune persone non binarie si identificano anche come trans*, possono “transizionare” fisicamente tramite operazioni chirurgiche, ormoni e altro ma possono anche decidere di non alterare i propri corpi. Possono anche solo “transizionare” di genere, assumendo in società un’espressione di genere diversa da quello a loro assegnato.
Nel caso di persone di genere non binario la lingua italiana non offre molta scelta in quanto si basa sulla distinzione sessuale binaria e non prevede il genere neutro. Come rivolgersi quindi alle persone non binarie? Dipende dalla preferenza che esprimono.
Nella lingua scritta per riferirsi sia a entrambi i generi sia alle persone non binarie si possono usare la chiocciola @, l’asterisco * o il trattino basso _.
Sia nella lingua scritta sia nella lingua parlata invece si può usare la u come vocale finale.
Esempi: Tutt@, tutt*, tutt_, tuttu
Orientamento sessuale
L’attrazione emotiva, affettiva e sessuale che si prova verso persone del sesso opposto (eterosessualità), dello stesso sesso (omosessualità) o di entrambi i sessi (bisessualità).
Negli ultimi anni, inoltre, sono stati annoverati tra gli orientamenti sessuali anche l’asessualità, ovvero la mancanza di attrazione sessuale e di interesse o desiderio per il sesso, così come la pansessualità, ovvero l’attrazione verso persone indipendentemente dal loro sesso biologico o identità di genere. Questo include maschi e femmine (cisgender e trans*) e non binarie. La differenza con la bisessualità è che una persona pansessuale può provare attrazione verso tutti i generi, mentre una bisessuale solo verso due di essi.
Poiché l’orientamento sessuale è indipendente e differente dall’identità di genere, le persone trans*, così come quelle cisgender, possono essere eterosessuali, omosessuali, bisessuali, asessuali e pansessuali.
Non esistono studi attendibili in merito alle ragioni che portano a sviluppare in un individuo un determinato orientamento sessuale. Le tesi scientifiche a sostegno di una combinazione di influenze genetiche, ormonali e ambientali, non hanno portato a prove definitive sufficientemente valide. Inoltre, l’erronea opinione diffusa secondo cui abusi sessuali, eventi traumatici o una cura o educazione errata dei figli possano influenzare lo sviluppo dell’orientamento sessuale è priva di evidenze scientifiche.
È oramai condivisa nel mondo accademico il fatto che l’orientamento sessuale non sia frutto di una scelta individuale, così come non esiste alcuna prova scientifica che esso possa essere modificato artificialmente tramite le cosiddette “terapie riparative” o di “conversione dell’omosessualità”, che anzi risultano spesso negative e dannose per le persone che le hanno intraprese.
La comunità scientifica internazionale è ormai concorde nel considerare questi interventi inefficaci e dannosi, oltre che eticamente scorretti (perché “curare” una “malattia” che non esiste?).
L’unico risultato a cui possono portare queste “terapie” è una sorta di “pseudo-eterosessualità” basata sulla repressione e la dissociazione di attrazioni, fantasie e desideri omosessuali. Le più autorevoli istituzioni nazionali e internazionali hanno bandito questo tipo di interventi, fino a vietarne l’utilizzo sui minori (per esempio, negli Stati Uniti).
L’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce l’omosessualità una “variante naturale del comportamento umano”.
Gay e lesbiche
Gay: termine usato per definire con una netta connotazione identitaria positiva le persone omosessuali, soprattutto a partire dal 1969, con la nascita negli USA del Gay Liberation Front, in italiano Movimento di Liberazione Omosessuale. I militanti di quegli anni rifiutarono i termini usati fin lì, come omosessuale e soprattutto omofilo. Non volendo più essere definiti con le parole usate dagli eterosessuali, spesso ingiuriose, la comunità omosessuale scelse quindi di auto-definirsi (come già avevano fatto i neri, che avevano rifiutato nigger preferendogli black) usando un termine del loro stesso gergo, cioè appunto gay. Sull’esempio americano, gay si diffuse nel mondo ovunque esistesse un movimento di liberazione omosessuale.
Nei Paesi di lingua anglosassone il termine gay può essere usato anche per indicare le donne omosessuali (“gay women” ovvero “donne gay”), mentre in Italia il movimento lesbico, che è si è legato fin dal principio con le istanze del femminismo, ha superato questa dicitura promuovendo l’uso, per l’appunto, di lesbiche.
Coming out e outing
La parola coming out è presa in prestito dall’inglese e, come spesso accade con le parole straniere, non sempre è utilizzata in modo corretto. La confusione più comune è con un’altra espressione inglese, che ha un significato diverso: outing.
Il coming out avviene invece quando una persona rivela la propria omosessualità, bisessualità o identità di genere, nel caso delle persone trans*, agli altri, ad esempio familiari, amici e colleghi di lavoro. L’espressione deriva dall’abbreviazione della frase idiomatica “coming out of the closet”, letteralmente “uscire dall’armadio”, quindi uscire allo scoperto.
L’outing avviene quando qualcuno svela pubblicamente, spesso senza permesso e contro la volontà dell’interessato, l’omosessualità, la bisessualità o l’identità di genere, nel caso delle persone trans*, di qualcun altro. Il movimento di liberazione omosessuale ha utilizzato a volte l’outing come pratica politica per rivelare l’omosessualità di esponenti pubblici (politici, rappresentanti delle Chiese, giornalisti) segretamente omosessuali, che però assumono pubblicamente posizioni omofobe.
LGBT*QIA+
Acronimo che sta per persone Lesbiche, Gay, Bisessuali, Trans e non binarie (*), Queer, Intersessuali e Asessuali.
Il + finale sta a indicare l’apertura verso qualsiasi altra autodefinizione in relazione alla propria identità di genere e/o orientamento sessuale.
L’acronimo può essere scritto anche in forme ridotte quali LGBT, LGBTQI, LGBTI, con o senza il + finale e l’asterisco.
Queer
Termine inglese che significa letteralmente “strano”, “insolito”. A partire dagli anni Settanta è stato usato in senso spregiativo nei confronti degli omosessuali (equivalente all’italiano “frocio”), ma è stato successivamente ripreso in chiave politico/culturale e rovesciato in positivo da una parte del movimento LGBTQ*I+ per indicare tutte le sfaccettature dell’identità di genere e dell’orientamento sessuale, rifiutando sia tradizionali identità di genere (uomo/donna) sia la distinzione rigida degli orientamenti sessuali (eterosessuale/omosessuale/bisessuale).
Il termine queer si focalizza sull’identità sessuale non in quanto realtà oggettiva ma come terreno mutevole, transitorio e rappresenta un insieme di teorie e pratiche che sovvertono le regole delle opposizioni binarie (binarismo di genere, binarismo sessuale, ecc). Le teorie queer intendono la sessualità come un intreccio di sesso, genere e orientamento sessuale che viene costruita socialmente e costantemente riprodotta dai soggetti.
Pride
Espressione che indica la manifestazione e le iniziative che si svolgono ogni anno in occasione della Giornata mondiale dell’orgoglio LGBT*QI+, nei giorni precedenti o successivi alla data del 28 giugno, che commemora la rivolta di Stonewall, culminata appunto il 28 giugno 1969.
I moti di Stonewall furono una serie di violenti scontri fra persone trans*, omosessuali, queer e la polizia a New York. La prima notte degli scontri fu quella tra venerdì 27 e sabato 28 giugno 1969, quando la polizia irruppe nel locale chiamato Stonewall Inn, un bar in Christopher Street, nel Greenwich Village.
Stonewall (così è di solito definito in breve l’episodio) è generalmente considerato da un punto di vista simbolico il momento di nascita del movimento di liberazione LGBT*QI+ moderno in tutto il mondo.
Stereotipo
I pericoli della tendenza a generalizzare.
Per semplificare, tendiamo spesso a generalizzare. Tuttavia, quando questa semplificazione viene portata all’estremo, nascono gli stereotipi. Con questo termine, infatti, si indicano tutte quelle idee che vengono associate a determinati gruppi sociali. Possono riguardare l’aspetto fisico, i comportamenti, l’etnia o altre caratteristiche come l’orientamento sessuale e il genere.
La nostra mente organizza i concetti per categorie e quindi per stereotipi, positivi o negativi, che corrispondono, secondo la psicologia, a distorsioni cognitive della realtà. Impariamo gli stereotipi presenti nella nostra cultura fin da piccoli. Possono essere pericolosi quando tendono a caratterizzare negativamente determinati gruppi. L’obiettivo, infatti, è quello di semplificare ma anche di mantenere intatti i propri valori e il proprio status quo contro altri gruppi sociali.
Pregiudizio
Giudicare a priori.
I pregiudizi sono strettamente legati agli stereotipi che, solitamente, li precedono. Quando abbiamo un’idea preconcetta su un determinato gruppo, scattano i pregiudizi, ossia delle emozioni positive o negative, quindi dei giudizi di valore.
Non provengono dall’esperienza e, per questo, sono solitamente sbagliati. Si tratta di un atteggiamento, più che di una concezione come nel caso degli stereotipi. I pregiudizi sono difficili da distruggere anche quando la realtà ci dimostra che sono sbagliati.
Discriminazione
Un vero e proprio comportamento.
A differenza delle generalizzazioni degli stereotipi e dei giudizi di valore dei pregiudizi, la discriminazione è un vero e proprio comportamento.
I primi due, infatti, influenzano i nostri atteggiamenti nei confronti delle persone appartenenti a un determinato gruppo sociale che possono essere sia positivi che negativi. Attraverso questi comportamenti si mette in atto un’esclusione non motivata e/o un trattamento differente, solitamente peggiore, in base a una caratteristica non rilevante di una persona o di un gruppo. La discriminazione può colpire diversi fattori come il genere, l’etnia, la disabilità, la fede religiosa, l’orientamento sessuale o l’età.
Stereotipi di genere
Idee basate su luoghi comuni che categorizzano ciò che è tipicamente “femminile” o “maschile”. Generalmente, le qualità positive del “maschile” prevalgono su quelle del “femminile”.
Sessismo
La convinzione che tutte le persone appartenenti ad un sesso o a un genere posseggano caratteristiche, abilità o qualità specifiche, che le definiscono come inferiori o superiori ad un altro sesso o genere.
Eterosessismo
Visione del mondo che considera come naturale solo l’eterosessualità, dando per scontato che tutte le persone siano eterosessuali.
L’eterosessismo rifiuta e stigmatizza ogni forma di comportamento, identità e relazione non eterosessuale. Si manifesta sia a livello individuale sia a livello culturale, influenzando i costumi e le istituzioni sociali, ed è la causa principale dell’omofobia.
Omofobia
Il pregiudizio, la paura e l’ostilità nei confronti delle persone che si definiscono o che sono percepite come omosessuali.
Il 17 maggio è stato scelto a livello internazionale come la Giornata Mondiale contro l’Omofobia, in ricordo del 17 maggio 1990 quando l’Organizzazione Mondiale della Sanità eliminò l’omosessualità dalla lista delle malattie mentali.
Oggi il nome completo è Giornata Mondiale contro l’Omofobia, la Bifobia e la Transfobia.
Lesbofobia
Il pregiudizio, la paura e l’ostilità nei confronti delle persone che si definiscono o che sono percepite come lesbiche.
I pretesti che portano alla lesbofobia, pur avendo una radice in comune con quelli che portano all’omofobia verso uomini omosessuali, presentano dei caratteri peculiari.
Bifobia
Il pregiudizio, la paura e l’ostilità nei confronti delle persone che si definiscono o che sono percepite come bisessuali.
I pretesti che portano alla bifobia, pur avendo una radice in comune con quelli che portano all’omofobia verso uomini e donne omosessuali, presentano dei caratteri peculiari.
Transfobia
Il pregiudizio, la paura e l’ostilità nei confronti delle persone che si definiscono trans* e di tutte quelle persone che vengono percepite come non conformi ai ruoli di genere socialmente definiti.
Il 20 novembre è riconosciuto a livello internazionale come il Transgender Day of Remembrance (T-DOR) per commemorare le vittime della violenza transfobica, in ricordo di Rita Hester, il cui assassinio nel 1998 diede avvio al progetto Remembering Our Dead.
Omofobia, lesbofobia, bifobia e transfobia possono trasformarsi in discriminazione, violenza fisica, psicologica e verbale, discorsi d’odio, minacce, marginalizzazione, esclusione sociale e insulti nei confronti delle persone omosessuali, lesbiche, bisessuali e trans*.
Fobia interiorizzata
Forma di fobia che si manifesta in modo particolare, poiché è vissuta dalle stesse persone che si percepiscono e/o sono percepite come parte di un determinato gruppo e si rivolge contro le persone che di quel gruppo ne fanno parte.
Si parla in questi casi di fobia interiorizzata, frutto dell’accettazione e interiorizzazione degli stereotipi e dei pregiudizi e in generale dei sentimenti e dei pensieri negativi che sono presenti nelle società.
Omofobia interiorizzata
Forma di omofobia spesso non cosciente, risultato dell’educazione e dei valori trasmessi dalla società, di cui a volte sono vittime le stesse persone omosessuali.
Transfobia interiorizzata
Forma di transfobia spesso non cosciente, risultato dell’educazione e dei valori trasmessi dalla società, di cui a volte sono vittima le stesse persone trans*.
Bullismo
Comportamento di violenza e prevaricazione che si ripete nel tempo, ad opera di un/a adolescente o un gruppo di adolescenti (bulli) a danno di una vittima, che ha difficoltà a difendersi e a chiedere aiuto.
La violenza può essere attuata attraverso le parole (ad es. la minaccia, la presa in giro, l’insulto), la forza fisica (ad es. picchiare, prendere a calci) e la pressione psicologica (ad es. l’isolamento, l’esclusione, la maldicenza).
Quando il bullismo viene esercitato attraverso i social network, le e-mail, gli sms, le chat e i blog si parla di cyberbullismo.
Bullismo omofobico
È il bullismo agito sulla base dell’orientamento sessuale reale o presunto della vittima o sulla base della sua espressione di genere, per colpire adolescenti lesbiche, gay, bisessuali o ritenut* tali.
Bullismo transfobico
È il bullismo agito sulla base dell’identità di genere reale o percepita della vittima, per colpire le/gli adolescenti trans* o ritenut* tali.
Discriminazioni a scuola
Secondo un sondaggio diffuso il 28 febbraio 2019 da Save the Children, realizzato su più di 2.000 studenti e studentesse di scuole secondarie di secondo grado in tutta Italia, il 61% degli studenti intervistati ha subito direttamente situazioni di discriminazione dai propri coetanei. Tra questi, il 19% ha dichiarato di essere stato emarginato ed escluso dal gruppo, mentre il 17% è stato vittima di brutte voci messe in giro sul proprio conto, il 16% deriso e 1 su 10 ha subito furti, minacce o pestaggi. Tra chi ha subito discriminazioni, il 32% si è rivolto ai genitori, un altro 32% si è rivolto agli amici, mentre un significativo 31% non si è rivolto a nessuno. Solo 1 intervistato su 20 ha scelto di rivolgersi agli insegnanti: un dato che assume ancor più peso se pensiamo che proprio la scuola si configura, secondo i risultati dell’indagine, come il luogo principale (45% dei casi) dove gli studenti assistono a discriminazioni nei confronti dei loro compagni di pari età, seguita dal contesto della strada (30%) e dai social (21%).
Discriminazioni nelle scuole
Soprattutto a scuola, quasi 9 su 10 sono stati testimoni diretti di comportamenti discriminatori nei confronti dei loro amici e compagni. L’omosessualità, l’appartenenza alla comunità rom, l’obesità o il fatto di essere di colore sono le principali “etichette” per le quali le persone rischiano di essere discriminate, secondo più dell’80% degli intervistati. A queste seguono l’essere di religione islamica, l’essere povero o disabile.
Dall’indagine, infine, emerge come sia complesso combattere gli stereotipi proprio perché sono difficili da stanare e perché, alle volte, si tende a giustificare o sminuire le proprie azioni o quelle commesse da altri. Quasi il 13% dei ragazzi intervistati, infatti, ha risposto che “picchiare i compagni di classe odiosi significa solo dargli una lezione”, quasi 1 su 5 pensa che “ai ragazzi non importa essere presi in giro perché è un segno di interesse” mentre quasi 1 su 3 ritiene “giusto maltrattare qualcuno che si è comportato come un verme”.
Autore e autrice
Matteo Bottino e Lorenza Neri