Qualche sera fa trovo Milena Gabanelli alla televisione, ospite da Mentana, con il suo programma di approfondimento Dataroom, sintetico quanto interessante.
L’argomento della puntata non era per nulla divertente come lo possono essere, seppur in modo contorto e sarcastico, le rivelazioni circa gli scandali e le malefatte della nostra squallida classe dirigente, o dei nostri concittadini più disonesti, alle quali da anni ci ha abituato la giornalista.
Al contrario, il tema affrontato era decisamente serio, direi deprimente. Si parlava di una forma di tumore, il tumore al seno, che in Italia colpisce circa 62.000 donne all’anno, all’incirca la popolazione di Savona, causandone la morte di 12.000, poco più degli abitanti di cittadine come Ovada e Avigliana.
Fortunatamente, se così si può dire, questo tipo di cancro, che da solo costituisce il 29% dei tumori femminili, nella metà dei casi viene diagnosticato “in tempo” grazie ad uno specifico macchinario chiamato mammografo digitale. In Italia di queste apparecchiature sofisticate ne esistono attualmente 1.012 esemplari, alle quali ne vanno aggiunti altri 850 della versione precedente, analogica, considerati ormai non più attendibili, e quindi obsoleti, dallo stesso Ministero della Salute.
Come se non bastasse, nel corso della trasmissione veniva inoltre portata all’attenzione l’insufficienza del numero degli apparecchi distribuiti sulla rete ospedaliera nazionale, tanto da rendere le tempistiche per potersi sottoporre ad una mammografia di una lunghezza sconcertante, che poco si addice, si potrebbe ingenuamente pensare, ad un Paese “avanzato” come il nostro. I resoconti si ritrovano in diversi episodi di cronaca sanitaria un po’ da tutta Italia, e individuano liste d’attesa anche dell’ordine dei 9-12 mesi per ottenere uno screening (termine specifico della visita), a meno che non si rientri nelle casistiche di conclamata urgenza.
Realizzare che una donna, la quale voglia assicurarsi di non avere una malattia mortale per migliaia di malate all’anno, si trovi a dover aspettare tempi del genere, è tanto vergognoso quanto inquietante.
Ma cosa ci vuole allora ad adeguare la quantità dei mammografi in circolazione, ed a sostituire quelli ormai obsoleti con dei modelli moderni e attendibili?
Ancora una volta il problema sono i soldi. Un mammografo digitale, si spiegava verso la conclusione del servizio, costa all’incirca 1 milione di euro: resta quindi da augurarsi che il nuovo (più o meno) governo Conte 2, per certa stampa il “Governo Buono”, intraprenda nell’imminente manovra i doverosi investimenti su questo comparto della sanità italiana tanto delicato.
D’altro canto, per chi non è addetto ai lavori politici, né sanitari e tanto meno finanziari, dimensionare con un briciolo di precisione le risorse più o meno investite da questo o quell’altro governo risulta impossibile, un mero esercizio da serata con gli amici più o meno “di sinistra”.
Però, giusto una settimana prima, mi ero imbattuto in un post di Rete Italiana per il Disarmo che denunciava alcuni programmi che proprio il nuovo governo ha portato alle commissioni di Difesa e Bilancio in data 18 settembre, praticamente appena insediato, implementando un’iniziativa formulata da Elisabetta Trenta, ministra della Difesa dell’obbrobrio giallo-verde che ci siamo più o meno lasciati alle spalle.
Questo programma, di cui nei telegiornali e nella stampa mainstream non si è fatta menzione, prevede una serie di spese militari, in armamenti, che andrebbe a drenare un flusso di risorse finanziarie tali da avere quasi dell’incredibile, del ridicolo… almeno per la persona comune che ingenuamente (come me del resto) è abituata da anni a bersi le stesse imbarazzanti scuse: l’Italia è schiacciata dal debito, il pubblico non può più investire, il welfare costa troppo, non ci sono soldi per l’istruzione, per la sanità, per la messa in sicurezza dei territori, per il sostegno al reddito, ecc. Insomma, per tutte le cose di cui avremmo veramente bisogno.
Ma vediamo allora qualche numero un pochino più nel dettaglio:
⁃ 112 milioni per mezzi blindati (dal 2020 al 2031)
⁃ 806 milioni in sommergibili U212 (dal 2019 al 2030)
⁃ 150 milioni per il nuovo sistema missilistico“Teseo MK2/ E Evolve”
⁃ 212 milioni per nuovi satelliti radar “Cosmo-Sky Med” (dal 2019 al 2024)
⁃ 424 milioni per unità di soccorso di sommergibili sinistrati (dal 2019 al 2032)
⁃ 716 milioni per droni da sorveglianza e ricognizione (dal 2019 al 2034)
Se consideriamo solamente questi ultimissimi brillanti progetti, freschi freschi di pochi mesi fa, possiamo contare circa 2 miliardi e mezzo di euro: il 10 % della spesa militare corrente, che nel 2018 ammontava a circa 21 miliardi di euro. 21.000.000.000 € in un solo anno, in cosiddetto tempo di pace.
E’ una cifra che definire “enorme” non è abbastanza, rispetto a quanto si potrebbe fare con le stesse disponibilità economiche, basti pensare che il tanto strombazzato green new deal contenuto nell’attuale DEF sarebbe sovvenzionato da un investimento pari a 50 miliardi in 15 anni… pressapoco lo stesso lasso di tempo concesso agli assurdi programmi di cui sopra.
A parte che sicuramente questa sarà l’ennesima promessa non mantenuta, ma se ipotizziamo per assurdo la sua effettiva realizzazione, il programma per la cosiddetta transizione ecologica sarebbe rappresentato da 3,3 miliardi di euro all’anno: ridicolo al limite dell’offensivo, quando sappiamo di spenderne ogni anno 21, di miliardi, in armamenti e personale bellico di categorie varie e più o meno inutili, quando non addirittura dannose alla popolazione ed alla sua libertà.
E da questo computo escludiamo, per questioni di semplificazione e di spazio, la controversa questione relativa agli F35, il programma militare più inconcludente, balordo e soprattutto dispendioso in cui sia mai riuscito ad impantanarsi un nostro qualsiasi governo dal Dopoguerra ad oggi: 4 miliardi di euro già spesi, fin’ora, per l’acquisto di una trentina di cacciabombardieri (dati del Sole24Ore, quindi Confindustria), tra l’altro soggetti a diverse ed irrisolte problematiche tecnologiche e di operatività, il cui vantaggio tattico rispetto al caccia predecessore (l’Eurofighter) parrebbe sia la capacità di trasportare ordigni nucleari. Peculiarità che, a rifletterci un momento, assume contorni grotteschi: un velivolo il cui acquisto viene giustificato dai governanti di turno con lo scopo di “difesa del territorio” si distingue dagli aerei della concorrenza proprio perchè in grado di sganciare una bomba atomica, l’arma di offesa più terrificante mai impiegata dagli uomini per distruggere quante più altre persone possibile.
In ogni caso, senza addentrarci in questioni troppo complesse, quello che rimane lampante, e proprio per questo vergognoso, è l’incredibile squilibrio tra le spese in armamenti che sostiene il nostro Paese (spese che il nuovo governo, “quello buono”, non accenna nemmeno vagamente a ridurre) e l’imbarazzante pochezza, al confronto, delle risorse destinate al benessere, alla vita degli abitanti, non importa che siano cittadini a tutti gli effetti o meno.
Ritorniamo quindi, per concludere, a quella notizia che avevo descritto all’inizio e che mi aveva toccato quando l’avevo appresa alla televisione, all’ora di cena.
C’è una malattia, il tumore al seno, che ogni anno causa la morte di circa 12.000 donne, come se ogni anno sparisse nel nulla una cittadina come Ovada o Avigliana, però composta da sole donne. Questa malattia si può sconfiggere, ma è fondamentale che sia individuata in tempo, che la diagnosi sia tempestiva e attendibile.
Esiste un macchinario in grado di fornire queste risposte: si chiama mammografo digitale e costa 1 milione di euro. Negli ospedali italiani ci sono circa 1.000 di questi mammografi, e pare che non siano abbastanza, visto che per una visita ci vuole molto tempo, nei casi peggiori anche 10-12 mesi.
Non abbiamo abbastanza mammografi, ma abbiamo da poco comprato 30 aereoplani che sono in grado di sganciare ordigni nucleari, causando sofferenze e distruzione inimmaginabili, e questo ci è costato 4 miliardi.
Con 4 miliardi si potrebbero comprare 4.000 mammografi in più, per averne così 5.000 disponibili negli ospedali per prevenire la malattia. Se con 1.000 mammografi operativi la mortalità è “limitata” a 12.000 casi, quante se ne potrebbero curare in più se ce ne fossero 5.000, in funzione per prevenire e salvare?
Fonti:
• https://www.corriere.it/dataroom-milena-gabanelli/tumore-cancro-seno-mammografi-ospedali-da-evitare
• https://www.ilcittadino.it/cronaca/2018/07/29/carenza-di-personale-per-una-mammografia-ci-sono-15-mesi-di-attesa
• https://www.quotidianosanita.it/regioni-e-asl/articolo.php?articolo_id=73804
• https://www.osservatorionazionalescreening.it/content/la-lunga-strada-uno-screening-personalizzato-il-tumore-al-seno
• https://www.linkiesta.it/it/article/2019/09/20/governo-italiano-armi-missili-blindati-sommergibili-investimenti
• https://www.ilsole24ore.com/art/f-35-l-intera-flotta-terra-storia-dell-aereo-piu-costoso-mondo
• https://www.ilfattoquotidiano.it/2013/06/26/f35-piano-della-difesa-per-90-aerei-ognuno-costa-100-milioni-di-euro
• https://www.ilsole24ore.com/art/manovra-carica-23-collegati-green-new-deal-riforma-catasto
• https://www.disarmo.org/nof35/le-alternative-agli-f-35
• https://www.disarmo.org/nof35/
Autore
Daniele Trovò