11 dicembre 1997, in occasione del Cop3 veniva ratificato nella città di Kioto il celebre protocollo che si poneva il problema di scadenzare risposte in grado di evitare un disastro ambientale di proporzioni globali che già allora, 22 anni fa, bussava con urgenza alle nostre porte.
Il protocollo in questione ha assunto lo status di celebrità per essere stato, nelle pratiche, disatteso da pressoché tutti gli stati contraenti. Belle parole, buone per lavarsi le coscienze e continuare a lucrare e a far profitto sull’ambiente. A quelle belle parole sono, infatti, seguite pratiche statali diametralmente opposte e oggi, la porta alla quale il cambiamento climatico bussava, rischia di essere divelta con furia prepotente per presentarci un conto salatissimo.
Ma siamo ancora in tempo.
A Roma, il 26 gennaio scorso, un’assemblea partecipatissima ha rilanciato il nodo ambientale come tema centrale da affrontare per tentare di invertire la tendenza suicida che ai quattro angoli del mondo sembra farla da padrone. Si pensi ai tweet irrisori di Trump, si pensi al programma del neoeletto Bolsonaro – che vuole fare dell’Amazzonia un deserto -, si pensi al governo giallo verde – che prosegue con la devastante politica delle grandi opere senza curarsi di bonifiche e incentivazzione di modelli “puliti” (ILVA e Triv su tutte).
Evidenti deliri politici se si pensa ai segnali apocalittici di questi giorni: ai -50 gradi del Midwest USA rispondono i +50 di Fort Augusta in Australia.
Trump ride e foraggia il carbone – e i costi vivi, in prima battuta, li pagano gli ultimi, i poveri, i dannati di questa terra – mentre desertificazione, siccità, allagamenti e inondazioni sono lì ad avvertirci.
Questi segnali non possono più rimanere inascoltati e il 23 marzo nella capitale si ri-troveranno tutti coloro che in questi anni hanno lottato sui loro territori per la giustizia ambientale.
Siamo ancora in tempo.
Lo siamo. Perché i nati e le nate dopo il 2000 stanno battendo un colpo.
Giovanissimi e giovanissime reclamano un futuro degno, pulito, giusto. Chiedono alla UE di non fare, ancora una volta, orecchie da mercante. Chiedono di invertire la rotta oggi perché il loro futuro dipende dalle scelte e dalle non-scelte che si stanno facendo.
La giovane Greta Thunberg dalla Svezia a inizio settembre ha lanciato un segnale in solitaria , tenace e determinata è andata avanti, è intervenuta al Cop24, probabilmente inascolatata dai “potenti” ma seguita dagli studenti che nei Fridays for FUTURE stanno riempiendo le strade in tutta Europa.
Siamo in tempo.
I giovanissimi e le giovanissime sembra abbiano messo il piede sull’acceleratore e di Friday in Friday stanno crescendo, si muovono in rete come uno sciame, e si materializzano davanti ai palazzi ogni venerdì.
Venerdì 15 marzo è convocato Global Climate Strike, sabato 23 marzo si terrà il corteo a Roma per il clima e contro le grandi opere inutili.
Saranno due momenti importanti.
Queste tappe ci diranno se saremo in grado di invertire questo presente balordo. Perché?
Perché dobbiamo, perché in fondo è semplice capirlo: un pianeta di riserva proprio non c’è.
Autore
Egio Spineto