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Fusaro pensatore rivoluzionario? Abbiamo un problema

Nella foto - Laboratorio Sociale Alessandria

Con rammarico continuo a notare quanto venga concesso spazio mediatico a Diego Fusaro.

Grazie all’endorsement populista e al baratro culturale spalancato dal governo gialloverde, il sedicente filosofo “marxiano” ha conquistato spazi di presenza radiotelevisiva sempre più ampi con picchi di trash da non sottovalutare come quando, poche settimane fa, in un tripudio di televisione spazzatura nazionalpopolare, la sua attuale fidanzata, Aurora Pepa, è andata alla “Zanzara” a dire che sono una coppia illibata e che a lui interessa leggere solo “lo Hegel”.

Chiaramente questo siparietto era del tutto sceneggiato ed è stato utile ad una cosa sola: promuovere l’ultimo libro del “filosofo” torinese “Il Nuovo Ordine erotico”, edito da Rizzoli.

Proprio da questa ultima fatica editoriale possiamo evincere una buona parte del modo di teorizzare di Fusaro. “Il Nuovo Ordine erotico” è, infatti, un suo tipico libro. Quattrocento e più pagine di “turboretorica” fusariana che confondono un nòcciolo teorico che altro non è se non uno sproloquio senza quartiere dell’“ideologia gender”. Un “core” infarcito di citazioni di Evola e De Benoist, due fra gli autori che compongono l'”Olimpo””del nostro e che sono celeberrimi autori della cultura di estrema destra. Citazioni, dicevamo, che non contestualizza né criticamente, né storicamente questo assurdo spauracchio e soprattutto evita accuratamente di citare la nascita di questa sedicente teoria in seno al corpus teorico dell’estrema destra e dei gruppi cattolici conservatori.

Questo il tipico retroterra teorico fusariano: un’accozzaglia sincretica di pensatori cari alla destra estrema precariamente innestati su impianto teorico debolmente marxista.

Diego Fusaro, non è un professore, non fa parte del mondo accademico. Fusaro è un guitto della filosofia che prende in giro se stesso parlando un lessico pomposo da filosofo di romanzo di quart’ordine e infarcendo la sua retorica di citazioni a raffica, ma il cui intento è quello di rendere un effetto straniante, “esotico” all’ascoltatore. Anche quando le citazioni siano del tutto decontestualizzate, insomma, il tentativo è quello di acquisire autorevolezza costruendo il discorso con l’utilizzo di nomi altisonanti. Un artificio retorico.

La parabola culturale di Fusaro affonda le radici del pensiero in un impianto marxista e di critica del capitalismo e giunge, senza remore a lidi sovranisti e di estrema destra diventando editorialista per “Il Primato Nazionale”, giornale ufficiale del movimento neofascista CasaPound.
Parabola peraltro del tutto sovrapponibile a quella del suo filosofo di riferimento, Costanzo Preve, anch’egli partito marxista e approdato a case editrici neofasciste e diventato sostenitore del Front National francese.

C’è un solo filo conduttore nel pensiero “critico” di Diego Fusaro, una fallacia classica degli impianti teorici deboli, debolissimi: il complottismo.
Altro tipico argomento di chi non ha argomenti, Fusaro ne è un vero maestro-paranoico: gender, poteri forti, complotti plutomassonici, vengono sparati nei talk-show nomi, date, teorie e sempre, prima o dopo, spuntano le più beceri teorie care alle destre ma sapientemente imbellettate di quell’aura “pop” che le rende digeribili ad un pubblico ampio, da prima serata, che così allena l’orecchio e la propria etica a sparate virulente contro gay, femministe e migranti.

C’è altresì un grosso problema che rende vincente il modo di porsi di Fusaro. Ovvero il fatto che l’editoria italiana ha deciso di puntare su di lui. Pubblicando con Rizzoli, o Einaudi, Fusaro si costruisce quella credibilità di intellettuale che poi svende nei salotti televisivi, in cui conduttori compiacenti e attirati dallo share fanno in modo che questa impostura diventi quanto di più meschino ci possa essere di legato alla sua figura, ovvero di farlo passare come pensatore “alternativo”.

Tristemente Fusaro, in realtà, non è altro che un pensatore reazionario, che si trova nel paese giusto e nel momento culturalmente povero ideale per riciclare tutta una serie di idee vecchie sulla critica del Sessantotto come momento culminante del Capitalismo, che 25 anni fa già Michel Houellebecq argomentava con decisamente più stile.

Nulla in Fusaro ha una rilevanza anticapitalista, né teorica, né tantomento pratica, il suo è un marxismo scevro di ogni evoluzione scientifica ma che, appoggiando l’impianto teorico di Marx sull’idealismo tedesco e nulla più, lo rende pronto per accogliere istanze nazionaliste e sovraniste.

Insomma, non sentiamo proprio il bisogno di un Fusaro che argomenti in televisione o curi blog di testate giornalistiche nazionali, questo perché il suo pensare è uno stile retorico buono solo a fare un po’ di sensazionalismo spicciolo e caricare di inconsistente autorevolezza intellettualoide i discorsi cari alla destra, da Salvini in là.

Autore

Elio Balbo

Elaborazione fotografica Paolo Gambaudo