Le iniziative più difficili da contestualizzare e discernere in maniera analitica sono quelle che, almeno in apparenza, sembrano nascere con i migliori presupposti.
È il caso del progetto “Lezioni d’amore” promosso dal Consiglio Regionale del Piemonte, in particolar modo dal consigliere regionale del PD, nonché presidente della Consulta Giovani, Gabriele Molinari, in collaborazione con l’associazione “Filosofia in movimento”, di cui fanno parte i due ideatori materiali del progetto: il filosofo Paolo Ercolani e la filosofa e psicoterapeuta Giuliana Mieli.
Il progetto si rivolge alle classi quarte e quinte degli istituti di istruzione secondaria che hanno tempo fino al 31 ottobre per presentare la loro adesione.
A livello mediatico la notizia passa quasi in sordina fino al mese di agosto, quando il settimanale “L’espresso” le dedica un articolo a cui rispondono duramente le attiviste e gli attivisti del movimento Non una di meno Torino.
Perché questa avversione nei confronti di un progetto che potrebbe risultare una boccata d’aria fresca?
Le attiviste di Non una di meno lo spiegano nel primo comunicato del 18 settembre, in cui non possono far altro che destrutturare affermazioni di Paolo Ercolani e Giuliana Mieli, dal momento che il documento di progetto sembra introvabile persino sul sito del Consiglio Regionale stesso.
La prima obiezione mossa riguarda la divisione tra educazione all’affettività ed educazione sessuale, come se la seconda fosse completamente separata dalla prima, come se l’educazione sessuale fosse una materia in cui la parte meccanica avrebbe la meglio a livello di importanza sul resto.
Al momento della pubblicazione del comunicato di Non una di Meno tutto ciò contro cui era possibile scagliarsi erano affermazioni e articoli di Ercolani (come quelle sulla “teoria del gender”) e Mieli, senza poter entrare nel merito dei contenuti, dal momento che il documento non era ancora stato reso pubblico.
Finalmente, lo scorso 27 settembre nella sede del Consiglio regionale del Piemonte si è tenuta la conferenza stampa per la presentazione del progetto. In quel frangente alcune attiviste hanno posto delle domande mirate a Ercolani, Mieli e al consigliere Molinari, domande che difficilmente hanno trovato delle risposte esaustive.
Lo stesso giorno il testo del progetto è trapelato e, tutti coloro che hanno creduto che dietro alle obiezioni mosse da Non una di meno (ma non solo) fossero ravvisabili delle fallacie quali l’argumentum ad personam, hanno potuto finalmente giudicare con i loro occhi e le loro capacità di ragionamento logico.
Dieci righe. Tutto qui.
Ma, a onor del vero, seppure siano solo dieci intensissime righe, dei punti oscuri ci sono ugualmente.
Probabilmente le affermazioni misogine (come l’attacco nei confronti delle attrici che hanno partecipato alla crescita del movimento #metoo) o le asserzioni su quanto converrebbe all’economia globale della società che la donna riuscisse effettivamente a «scalfire» l’impianto razionale dell’uomo, e ancora la riproposizioni di modelli stereotipati e la colpevolizzazione dei ragazzi che non saprebbero più corteggiare e delle ragazze che non riuscirebbero a dare segnali chiari, non sono state considerate rilevanti nella valutazione di un progetto che si occupa di contrasto alla violenza di genere. Ecco perché voglio analizzare con gli strumenti della pragmatica del linguaggio queste dieci corposissime righe.
“L’obiettivo è quello di contrastare la violenza e la discriminazione dell’altro, in un’ottica preventiva, promuovendo una “rialfabetizzazione emotiva” di ragazzi e ragazze affinché, nell’era dei social network e del nascondimento di sé dietro maschere virtuali, imparino invece a vivere sane relazioni sentimentali e sociali in maniera consapevole e costruttiva, nel rispetto di sé e dell’altro.”
La violenza sulle donne non è un fenomeno emergenziale, ed è bene che anche Ercolani e Mieli interiorizzino questo concetto. Siamo, al contrario, di fronte a un fenomeno sistemico, strutturale, radicato nella società, così come affermato dalle attiviste di Non una di meno Torino.
Un fenomeno di certo non nato con l’avvento dei social network, né con quello di internet stesso, né da analizzare esclusivamente in relazione alle tecnologie esistenti al momento. Ed ecco la seconda fallacia argomentativa: “l’ignoratio elenchi” o, altrimenti detta, “conclusione irrilevante”. Siamo tutti e tutte d’accordo sul fatto che la violenza di genere sia un fenomeno da sradicare, ma seriamente vogliamo imputarne la causa primaria al mal utilizzo dei social?
Sicuramente questo può essere un fattore da considerare, ma non di certo la fonte di ogni male.
Il progetto prevede ore di lezione su storia e critica del pregiudizio misogino, la condizione della donna nella storia, le differenze di genere da un punto di vista biologico, i giovani di oggi e le relazioni adulte di domani.
Vorrei soffermarmi sulle “differenze di genere da un punto di vista biologico”. In questa frase è ravvisabile una contraddizione in termini. Anni di studi per distinguere le differenze sessuali da quelle di genere andate in fumo in una sola frase. Perché se le differenze di sesso sono biologiche, le differenze di identità sessuale (identità di genere) sono dovute ad aspetti psicologici, sociali, culturali. Una frase del genere è particolarmente fuorviante, figuriamoci quanto potrebbero esserlo lezioni basate su un assunto di questo tipo.
Le domande che porta con sé questo progetto sono tante, perché, se da una parte c’è concertazione nel dire che è essenziale portare determinati argomenti nelle scuole, è altrettanto corretto sollevare delle obiezioni sulle modalità in cui viene introdotto e sulle competenze dei docenti. Personalmente trovo preoccupante che una persona che associa la transessualità ad una turba psichica, lo stesso anno in cui l’OMS ha eliminato la transessualità dai disordini psichiatrici, possa trovarsi in classe di fronte a studenti e studentesse.
Esistono tanti progetti validi già esistenti, come “Che cos’è l’amor?” (come ricordato da una studentessa di un liceo di Torino, presente all’assemblea pubblica organizzata da Non una di Meno Torino sabato 29 settembre all’interno del campus Einaudi), promosso dall’associazione “Il progetto Alice”, una delle associazioni promotrici di “Educare alle differenze” il principale appuntamento italiano di formazione e condivisione di buone pratiche educative sul tema delle differenze di genere, orientamento sessuale, stereotipi, bullismo e violenza contro le donne. Nella descrizione si legge che “Educare alle differenze è un’iniziativa nata dal basso e autofinanziata per sostenere la scuola pubblica e laica, artigiana di emancipazione e solidarietà, e per promuovere un’educazione che si fondi sulla differenza come valore e risorsa, non come problema o minaccia.”
Dal momento che esistono davvero tante realtà che si occupano da anni dell’argomento, è davvero essenziale dipingere il progetto di Mieli e Ercolani come qualcosa di estremamente innovativo come affermato dal consigliere Molinari? Non sarebbe forse il caso di valorizzare il lavoro fatto da associazioni, movimenti, insegnanti, educatori ed educatrici che quotidianamente si occupano di questi temi? Non è arrivato forse il momento di prendere alla lettera l’articolo 14 della Convenzione di Instanbul e introdurre l’insegnamento dell’educazione affettiva e, quindi, di quella sessuale, in maniera strutturata all’interno delle scuole, valutando la competenza e la preparazione dei docenti incaricati?
Autrice
Lorenza Neri