Indietro

La resistenza è vita. Il coraggio dei curdi e la guerra sporca di Erdogan

Nella foto - Laboratorio Sociale Alessandria

Il 9 ottobre la Turchia ha iniziato la preannunciata operazione militare nel nordest della Siria contro i curdi siriani. L’operazione è stata fortemente voluta e coordinata dal presidente turco Recep Tayyip Erdoğan, che ha di nuovo sfoderato la “carta curda” per far fronte al drastico calo di popolarità (riscontrato molto evidentemente anche in fase elettorale, con la perdita di Ankara e Instanbul alle amministrative).
In un gioco di equilibri geopolitici globali, la Turchia ha un ruolo di primo piano: accordi bilaterali dal sapore disumano hanno in qualche modo permesso all’Europa, asserragliata dentro i suoi confini e terrorizzata dall’avanzare di un nuovo mondo, di far fronte ad una parte consistente di quella che in maniera anti-storica ed anti-umana viene definita “crisi dei rifugiati”. In tutto 5,6 i miliardi versati a Istanbul all’interno del programma concordato nel 2016 affinché il Paese si faccia carico dell’accoglienza dei rifugiati siriani in fuga dalla guerra civile: il punto zero di un ricatto che consegna il manico del coltello nelle mani di un dittatore esaltato dal sogno di un’arabia pan-ottomana, nel contesto di un paese NATO tra i meglio militarmente equipaggiati.
Tuttavia i curdi sono più di 40 milioni, tanti quanti gli Spagnoli residenti in Spagna.
Il Kurdistan non è uno Stato riconosciuto, essi sono estromessi da qualsiasi attività pubblica nei Paesi dove vengono considerati degli intrusi: Turchia, Siria, Iran e Iraq.
Nella foto - Laboratorio Sociale AlessandriaNegli ultimi anni i curdi sono saliti alla ribalta del dibattito internazionale per l’incredibile resistenza messa in campo via terra contro ISIS-Daesh e per aver, di fatto, sconfitto il Califfato. Nonostante il successo militare, non si può dire che ISIS sia stato sconfitto dal punto di vista teorico-politico: le forze dello Stato islamico non posseggono una base territoriale, ma ci sono ancora migliaia di combattenti pronti ad approfittare del caos politico per tentare una nuova avanzata e organizzare altri attentati, anche su suolo europeo. Non solo: 13 anni di Califfato hanno ovviamente radicato un’ideologia in decine di migliaia di persone, donne e uomini venuti dall’estero e, ovviamente, nella generazione di bambini nata e cresciuta all’interno di quella società.
Quel caos politico paventato e da temere si è materializzato a partire da un comunicato diffuso il 6 ottobre dalla Casa Bianca in cui viene annunciata la nuova strategia statunitense in Siria: ritiro immediato delle truppe nella zona nord-est, quella presidiata dai curdi siriani, lasciando di fatto il campo libero alla Turchia e alla sua volontà di invadere l’area.
L’intenzione di Erdoğan è quella di occupare quella fascia di territorio, 400 chilometri a est del fiume Eufrate, per rimandare indietro tutti i profughi siriani entrati in Turchia nel corso degli ultimi 8 anni di guerra civile.
Un tradimento, quello degli USA, perfettamente coerente con la mentalità dell’amministrazione Trump, che mostra al mondo intero l’infamia del sentirsi sempre e comunque super-partes del capitalismo finanziario.

Chi sono i curdi? La storia del popolo curdo è millenaria e complicata, l’impennata di repressione della loro identità avviene a partire dalla fine della prima guerra mondiale che vede la sconfitta dell’Impero ottomano e la sua dissoluzione, contesto nel quale i curdi, sulla base del Trattato di Sèvres (1920) sul diritto alla costruzione di uno Stato nazionale, vedevano materializzarsi la speranza di una propria autonomia territoriale.
Tuttavia l’ingerenza degli Stati Occidentali, Gran Bretagna su tutti, e la pressione del governo turco sulla firma del Trattato di Losanna (1923) restituì alla Turchia il comando dei territori occupati dai curdi.
Nei decenni successivi furono numerosi i loro tentativi di diventare una nazione indipendente. Furono tutti repressi nel sangue, sia durante gli scontri ai confini turchi dopo la creazione del Pkk (Partito dei Lavoratori del Kurdistan), che durante la Guerra del Golfo per mano del dittatore iracheno Saddam Hussein.
La discriminazione e la persecuzione del popolo curdo, è sistematica, calcolata e violenta: ad essi è vietato l’uso della loro lingua e quindi negato un elemento di coesione culturale fondamentale per lo spirito di un popolo.
Nonostante la violenta opposizione contro il diritto all’autodeterminazione del Kurdistan, i curdi sono riusciti negli anni a creare una struttura democratica che rappresenta un’eccezione nel Medio Oriente, e che per il mondo intero rappresenta un esempio di sperimentazione di una forma di democrazia avanzatissima.
Il progetto politico nasce dalla teorizzazione di Abdullah Öcalan di avviare una rivoluzione socialista nel Medio Oriente, iniziata con la fondazione del Pkk nel 1978. L’esperienza di lotta, studio e dibattito interno ed internazionale del Pkk ha gettato le fondamenta per il confederalismo democratico nel Rojava, il territorio che comprende i cantoni di Kobane, Afrin e Cizre.
È anche in questa visione politica dei curdi che sta un nodo cruciale dell’attacco turco e dell’abbandono da parte dell’Occidente dei curdi al massacro. A spaventare la Turchia e parte dell’Occidente è la capacità espressa dal popolo curdo di costruire una democrazia basata sulla lotta al capitalismo, sul rispetto per l’ambiente, sull’universalismo e sulla parità di genere.
Nella foto - Laboratorio Sociale AlessandriaCostruire, alimentare e espandere questo modello nonostante una condizione di conflitto permanente, rappresenta il più grande orgoglio del popolo curdo.
E’ del 2005 la Dichiarazione per il Confederalismo Democratico nel Kurdistan, un testo rivoluzionario in termini di linguaggio, sintesi politica e visione del futuro della società, che fonda la liberazione dei curdi sull’affermazione dei diritti individuali e sulla libertà di espressione. Il manifesto trae ispirazione da modelli come l’ecologia sociale e il municipalismo libertario di Murray Bookchin e l’esperimento della Comune di Parigi del 1871.
Il confederalismo democratico può essere descritto come una sorta di autogoverno, in contrasto con l’amministrazione di uno stato-nazione; è il lungo processo di superamento dello stato-nazione orientato al raggiungimento di libertà e giustizia, alla risoluzione di problemi con uno sguardo alle questioni sociali, in un processo dinamico democratico.
Il confederalismo democratico nasce dal principio di autodeterminazione dei popoli, contro l’oppressione; si basa sulla diffusione della democrazia dal basso, sulla partecipazione, ed è un progetto culturale e organizzativo. I suoi processi decisionali avvengono all’interno delle comunità, nelle istituzioni di base e dialoga con le assemblee generali tramite delegati.
Il fulcro dell’avanguardia sono i giovani e le donne poiché storicamente categorie oppresse. Queste ultime, attraverso teorizzazione e riorganizzazione degli spazi sociali, sono orientate all’abbattimento del sessismo sociale, all’abbattimento della mascolinità al fine di trasformare la società: la liberazione delle donne è garanzia della liberazione della società tutta. Per questo motivo le Mala Jin (casa delle donne) sono le prime ad aprire nei territori appena sottratti alla devastazione dell’ISIS.
Sono spazi in cui le donne possono partecipare attivamente alla vita politica, formarsi e confrontarsi tra loro, spazi che offrono la possibilità di una alternativa a donne che non avrebbero altrimenti vie d’uscita.
L’abolizione del patriarcato è un aspetto fondamentale e la necessità di autodifesa ha portato alla creazione delle Ypj (Unità di protezione delle donne), che ha fronteggiato i jihadisti e che continua a difendere il popolo curdo.
La donna nella visione del confederalismo democratico del Rojava, è indipendente, fulcro vitale, sociale e politico: una realtà inaccettabile per una Turchia sempre più sottomessa all’ortodossia islamica per volontà del presidente Erdoğan e del suo partito Giustizia e Sviluppo (Akp).
Un altro aspetto determinante nella teorizzazione del confederalismo democratico è l’ecologismo radicale e il rispetto per l’ambiente praticato tramite l’armonizzazione dei ritmi di produzione e consumo della società. In tal senso i curdi vedono il neoliberismo come un modello insostenibile che mira all’arricchimento di pochi gruppi di potere al prezzo di una devastazione ambientale insostenibile; modello che in Occidente vede questi nodi venire al pettine ed una sempre più consistente parte della popolazione, incarnata nelle generazioni nate dopo il salto nel nuovo millennio, radicalizzarsi nelle forme di critica e contrasto a quel modello, coagulatesi nel movimento globale Fridays For Future.
Nella foto - Laboratorio Sociale AlessandriaL’Occidente ha bisogno di riconsiderare in toto la questione curda, comprendere l’importanza di questa esperienza politica e il fondamentale apporto del popolo curdo alla storia del mondo intero.
In Italia, grazie soprattutto all’opera del fumettista Zerocalcare, “Kobane Calling”, il dibattito e l’attenzione intorno a questa questione sono rinati e avanzati negli ultimi anni, dopo una stagnazione ferma all’arresto di Öcalan a Roma nel 1998.
Negli ultimi 3 anni, il confederalismo democratico e l’esperienza rivoluzionaria curda hanno fatto parte dell’immaginario mediatico di questo paese grazie alla partecipazione di tante e tanti che si sono esposti in prima persona. Alcuni hanno direttamente preso parte alla guerra contro ISIS-Daesh come combattenti internazionalisti nelle fila delle Unità di Difesa del Popolo (YPG), in tal senso il resoconto dell’esperienza sul fronte di Davide Grasso, “Hevalen”, è stato un caso editoriale importante per il dibattito nazionale.
Come non ricordare, con orgoglio e ammirazione, la partecipazione e la morte sul fronte di Lorenzo “Tekoser” Orsetti e Giovanni Francesco Asperti, internazionalisti italiani che hanno dato la vita per difendere il mondo dalla minaccia dello Stato Islamico, combattendo proprio a fianco delle milizie curde.
Anche per loro l’Italia dovrebbe prendere una posizione ferma e decisa contro l’invasione turca e l’umiliazione del popolo curdo. Invece, sul confine turco siriano sono schierati 130 militari italiani, 25 mezzi ed una batteria missilistica. L’operazione è stata richiesta agli alleati Nato dalla Turchia come aiuto nella difesa dei confini da possibili contrattacchi dal territorio siriano, quindi, di fatto, da parte dei curdi.

Lo scacchiere medio-orientale è da sempre complicato, le parti in gioco sono difficili da leggere e da derimere e ciò che ogni azione apre è uno scenario che avrà ripercussioni su buona parte del mondo, certamente su ogni angolo di quell’Occidente che oggi scommette vilmente, con la sua ignavia ed immobilità, su una fantomatica sicurezza dei propri confini, cedendo al ricatto di Erdogan, praticato sulla pelle di migliaia e migliaia di uomini e donne.
In questi giorni la comunità internazionale si sta mobilitando, in tutta Italia ed in tutta Europa migliaia di persone sono scese in piazza a sostengo ed in solidarietà al popolo curdo sotto attacco, tuttavia, è necessaria una presa di posizione importante e decisa da parte delle istituzioni di tutto l’Occidente: una condanna tout-court dell’invasione turca, l’immediato stop della vendita di armi alla Turchia, la definizione di sanzioni economiche verso uno Stato che sta mettendo in campo un’invasione in barba ad ogni trattato internazionale e riconoscere, finalmente, che i curdi non vogliono uno stato-nazione, ma il riconoscimento di autonomia, pace e democrazia.

 

Fonti: 
“Hevalen”, Davide Grasso, Edizioni Alegre 2017
“Confederalismo Democratico”, Abdullah Öcalan, Edizioni Iniziativa Internazionale. Disponibile in free-download

Autore e Autrice

Elio Balbo e Marta Sofia