Prenderanno il via sabato 22 febbraio, con lo spettacolo “La pace denunciata” di Irene Lamponi, gli eventi che celebrano i 10 anni del Laboratorio Sociale di Alessandria.
Uno spazio sociale che vive tra le mura dell’ex caserma dei Vigili del Fuoco in via Piave e che, ancora recentemente, ci ha insegnato e spinto a riflettere sul modello di città che desideriamo.
Una palestra popolare in cui si pratica antirazzismo, una scuola gratuita di italiano e inglese, un infopoint per migranti e richiedenti asilo, un kit di strumenti contro lo sfruttamento e la precarizzazione della vita, uno spazio di organizzazione e difesa del diritto all’abitare. Il Laboratorio Sociale è tutte queste cose insieme e anche di più. Il “tempio della musica live”, palcoscenico per spettacoli e presentazioni di libri. Casa per tutte e tutti coloro che vogliono sperimentare la forza dell’agire in collettivo e intraprendere nuovi percorsi di lotta.
Quello su cui si basa la vita all’interno del Laboratorio Sociale, per tutti gli alessandrini semplicemente il “Lab”, è l’autogestione, la solidarietà, l’antirazzismo e l’antisessismo. Pochi capi saldi per una storia in continua evoluzione, un mondo che cambia e sa raccogliere le sfide dei nostri tempi e, a volte, perfino anticiparle.
10 anni di collettivo, di vita in comune, di lotte, servizi, concerti, spettacoli, dibattiti e centinaia di assemblee.
10 anni costati tempo e sacrifici, diventati motivo di crescita e soddisfazione per le donne e gli uomini che li hanno vissuti. 10 anni che, passo dopo passo, hanno cambiato la storia e il volto di Alessandria.
Volete sapere come è accaduto? Ce lo ha raccontato Claudio Sanita, uno degli storici attivisti di questa realtà.
Con quale obiettivo, 10 anni fa, si sono aperte le porte del Laboratorio Sociale?
Credo che la cosa migliore sia far parlare il comunicato stampa con cui rivendicammo di aver aperto la porta dell’ex caserma dei Vigili del Fuoco. Io posso assicurarti che ho impresso nella mente quei momenti. La carovana di automobili che arriva in via Piave, il bagagliaio di una macchina che si apre, il generatore che viene acceso, il rumore della mola elettrica che inizia a tagliare, il lucchetto che cade a terra, il rumore della porta che viene spalancata, le urla di gioia. Brividi, ma torniamo al comunicato.
“Noi siamo invece convinti che …la caserma debba essere restituita alla cittadinanza a partire da concreti progetti sociali, culturali, artistici, sportivi di cui c’è tremendamente bisogno. Siamo convinti che questo immenso spazio debba diventare un luogo del comune, né pubblico, né privato, ma gestito da tutte le donne e gli uomini della nostra città che sentono la necessita di costruire luoghi liberi dalla paura e dal controllo sociale. Proprio oggi, al tempo dei deliri securitari fra pacchetti sicurezza e ordinanze di sindaci sceriffi, siamo convinti di dover ripartire a costruire luoghi che siano aperti, attraversabili da tutti, luoghi che siano antifascisti, antirazzisti, antiproibizionisti e antisessisti. In una sola parola spazi di libertà, capaci di costruire qui e ora, un modello di società migliore non basato su indifferenza, paura, esclusione e diffidenza.”
Qual era la tua idea di spazio sociale allora e qual è (se è cambiata) oggi?
Ci vorrebbe un’ora per risponderti a questa domanda e quando distribuivano il dono della sintesi stavo giocando a nascondino. Allora me la cavo così. Per fortuna sappiamo essere molto critici con noi stessi e la costruzione del Laboratorio Sociale è perennemente in evoluzione. Sia per quanto riguarda le iniziative di carattere sociale, sia la programmazione artistica e culturale. Il mondo cambia velocemente e se si vuole continuare a essere un punto di riferimento dentro e contro le brutture della società bisogna saper mettersi in discussione. Chi non l’ha saputo fare si è condannato all’irrilevanza. Noi abbiamo avuto la lucidità di farlo.
Disobbedienti, antagonisti, militanti, “zecche”…sono tante le parole con cui media e opinione pubblica definiscono gli attivisti dei centri sociali, in accezione più o meno negativa. Chi sono le persone che abitano il Laboratorio Sociale?
Se ci pensi, però, la narrazione dei giornali e dei media locali su di noi non è questa. Noi siamo perennemente “i ragazzi del Laboratorio Sociale”. Mi fa ridere se penso che ho 40 anni e che del nostro collettivo fanno parte persone che vanno dai 18 ai 70 anni. Siamo un pezzo di società. Fra noi ci sono operai, studenti, pensionati, giornalisti, medici, impiegati, infermieri, ingegneri, disoccupati, lavoratori del mondo dello spettacolo, grafici. C’è davvero di tutto. Abbiamo provenienze sociali e culturali differenti. Nessuno di noi è pagato per quello che fa e forse questo è il segreto della nostra storia. Con una battuta ti dico che l’unica cosa che abbiamo guadagnato in questi anni è stata una sfilza infinita di denunce, fogli di via, processi, condanne. Ciò che facciamo lo facciamo solo per passione, perché non riusciamo a rimanere indifferenti davanti alle ingiustizie, perché vogliamo dare il nostro contributo per costruire un mondo migliore. E ti assicuro che far parte di una comunità libera di donne e uomini è qualcosa di bellissimo. In un tempo di solitudine e di poche certezze ci si sente più forti, protetti e felici. Qualsiasi cosa di brutto mi possa capitare nella vita so di poter contare su decine di sorelle, fratelli, madri, padri, figlie e figli. “Siamo un esercito di sognatori: è per questo che siamo invincibili”.
Qual è il rapporto tra il Laboratorio Sociale e Alessandria?
Il Laboratorio Sociale ama profondamente la sua città, ne è una parte importante, cambia e si modifica con essa così come la città è cambiata tanto grazie al Laboratorio Sociale. Siamo diventati una sorta di istituzione. Prova a immaginarti Alessandria senza il Lab come sarebbe più povera culturalmente e socialmente. Poche sere fa mentre guardavo il Festival di Sanremo riflettevo sul fatto che sul nostro palco si sono esibiti artisti che poi abbiamo ritrovato in quel contesto. L’anno scorso è stata la volta de Lo Stato Sociale, quest’anno degli The Zen Circus. La Stampa ci ha definito “Il tempio del live” e fra le mura del Laboratorio passano ogni anno migliaia di persone di almeno tre generazioni differenti. E poi c’è quel rapporto profondo che abbiamo con chi in questa città sta peggio. Penso agli sfrattati, ai migranti, ai rifugiati, a chi fa una fatica incredibile a mettere insieme il pranzo con la cena. Loro sanno che il Laboratorio Sociale è un porto sicuro dove nessuno ti giudica per il colore della pelle o per ciò che possiedi.
Come ti immagini i prossimi 10 anni?
Mi stai chiedendo di spoilerare una storia di cui dobbiamo ancora scrivere il copione. Non si fa, ma non mi sottraggo. Intanto credo che il Laboratorio radicalizzerà (andrà alla radice del problema) il proprio punto di vista ecologista. Ci restano pochi anni per salvare il nostro pianeta dalla catastrofe climatica. Stiamo parlando della vita delle generazioni future a partire da quella dei nostri figli. Il capitalismo ha fallito a partire dal fatto che sta distruggendo il nostro pianeta. Quando parliamo di ecologismo radicale stiamo parlando di un punto di vista che credo possa velocemente diventare maggioritario nella società. Ce ne siamo accorti quando ripiantammo nel piazzale Berlinguer due alberi dopo lo scempio fatto dalla Giunta Cuttica. E più recentemente quando abbiamo deciso di bandire dal Lab la plastica usa e getta diminuendo di moltissimo la quantità di rifiuti prodotti. Il 23 marzo parteciperemo in massa alla “Marcia per il clima, contro le grandi opere” che si svolgerà a Roma. Sul tema siamo portatori di un bagaglio di esperienze notevoli a partire dalla lotta contro il Terzo Valico di cui siamo sempre stati protagonisti e passando per la battaglia contro la discarica di Sezzadio e contro le discariche in generale che sosteniamo con convinzione.
E poi c’è un secondo aspetto. Non c’è nessuna rivoluzione possibile senza femminismo. Non è un caso che l’esperienza di Non una di Meno e della Casa delle Donne di Alessandria sia nata dalle donne del Laboratorio Sociale.
Senza dimenticare che il Laboratorio continuerà a battersi con ogni mezzo necessario contro il razzismo, la xenofobia, l’intolleranza e per la giustizia sociale. Su questo non arretreremo di un solo passo. I partiti come La Lega e i razzisti sono la feccia della società. Vanno schiacciati e annientati.
Da ultimo, ma non per ultimo, potrebbe esserci una grande sorpresa in grado di lasciare molti a bocca spalancata. Ma questo non lo spoilero neanche sotto tortura.
Ci sono stati dei momenti in particolare in cui hai capito davvero che il Lab non era solo un sogno nella tua testa ma una realtà percepita e amata da tante e tanti?
Ti cito solo l’ultimo di una lunga serie. Quando abbiamo scoperto quest’estate che la Provincia voleva vendere i muri del Laboratorio abbiamo convocato un’assemblea pubblica. La risposta è stata così grande da lasciarci tutti a bocca aperta e da far desistere la Provincia dai suoi piani bellicosi. Avevamo in mente grandi piani per scongiurare l’operazione ma abbiamo vinto facile. Almeno per ora. Il Laboratorio è davvero un bene comune della città, un mondo che contiene molti mondi come ci piace scrivere.
A proposito di amore, come definiresti quello che provi per il Lab? “E’ odio mosso da amore” o “E’ solo amore se amore sai dare?”
Sono entrambe definizioni belle e calzanti. D’altronde amo sia i 99 Posse che i Colle der Fomento. Però scelgo le parole di Assalti Frontali. “Un posto che porto nel cuore, perché quello che vivo lo rende speciale”.
Autrice
ph. Paolo Gambaudo – Laboratorio Sociale