Storie di libraie e librai, editrici ed editori, scrittrici e scrittori (indipendenti, s’intende!)
Davide di mestiere fa il libraio. E lo fa con coraggio, gestendo la libreria indipendente AUT che, dopo diversi anni a Torino, si è da poco trasferita a Gavi, il suo paese. Ma è anche un grande appassionato di calcio, e proprio al calcio ha dedicato due libri. “George Weah: Run African Star” e, appena pubblicato, “Il calcio è del popolo. Geografia del calcio popolare in Italia”. Questa chiacchierata con lui è appunto dedicata al calcio popolare.
In generale curve e tifo organizzato sono realtà di cui i media si occupano spesso. Ma delle quali poi, di fatto, si sa poco. Se ne parla, infatti, quasi solo in occasione di episodi di cronaca e in un modo che tende a darne un’immagine stereotipata e generalmente negativa. Tu come lo spieghi?
Di curve e tifo organizzato si parla poco, è vero. Ma non sono così sicuro che ciò sia un male, visto che quando appaiono articoli sulla stampa (o servizi nei telegiornali) normalmente questi sono pieni di errori e pressapochismo. Intendiamoci: parlare delle curve, senza farne parte, non è facile. Infatti, questo è un mondo chiuso in sé stesso e che fugge dalle interviste facili (o almeno è così nella maggior parte dei casi), perciò per i cronisti, riuscire a delineare un quadro preciso è praticamente impossibile. Poco o nessun risalto viene dato alle iniziative benefiche promosse dalle curve, mentre tanto, troppo, risalto viene dato a ogni errore che le stesse commettono. Per questo motivo l’immagine che passa è quella dell’ultras becero, non istruito, violento e alcolizzato (che pure esistono, ovviamente) e questo quadro, naturalmente aggiungo io, va a spaventare l’italiano medio, che continua a percepire il frequentatore di stadi come l’Uomo nero di cui avere paura. Il perfetto Folksdevil di cui la nostra società ha bisogno per richiedere maggiore sicurezza, negli stadi come nelle strade. Ma a chi frequenta le curve intendendole come luogo d’aggregazione e laboratorio politico (intendo la politica spiccia, quella dal basso che si può fare senza nessun simbolo o bandiera) tutto ciò interessa poco: sa benissimo di non essere come viene rappresentato e ciò gli basta.
Più nello specifico, nel tuo libro ti occupi di “calcio popolare”. Perchè, come scrivi, si tratta di uno sport che “è popolare per indole”. Ma dici poi anche che “definire il fenomeno del calcio popolare è impossibile”. Puoi però provare a spiegare a chi non conosce questo fenomeno qual è l’idea di “calcio popolare” che è il filo conduttore della tua ricerca?
Definire il “calcio popolare” è impossibile semplicemente perché ogni realtà porta avanti le proprie battaglie. Ci sono, come è ovvio che sia, dei punti di contatto tra tutte le realtà che si rifanno al concetto “popolare”, tipo l’antirazzismo, l’azionariato popolare, la riqualificazione del territorio nel quale si va ad agire e così via, ma a oggi ancora non esiste un manifesto comune e quindi ci si muove in ordine sparso, in base alle peculiarità del territorio (che può essere una grande città, un quartiere o un paese) e ai punti guida che l’assemblea delle varie squadre si sono imposte.
Nella prefazione spieghi bene la dimensione “politica” di questa realtà ricordando come, dopo aver lasciato a lungo le curve nelle mani della destra più estrema, “anche i compagni si sono finalmente convinti che il calcio non è un universo da non frequentare per nessun motivo”. Ci racconti in breve come nel tempo si è concretizzata ed evoluta la diversa presenza politica nelle curve?
La politica è sempre stata presente nelle curve sin dalla nascita dei primi gruppi organizzati. Inizialmente, essendo un movimento di protesta giovanile che nasceva dal basso, molte curve guardavano a sinistra, o quantomeno si rifacevano a quegli ideali tanto cari alla sinistra. Peccato però che, fin dagli anni ’70, il PCI abbia fatto capire di non volere avere nulla a che fare con quei “teppisti” che popolavano i gradoni popolari, lasciando così una prateria sterminata all’estrema destra. Quello delle curve è un mondo anche involontariamente machista e nel quale il contatto fisico (non solo gli scontri) la fanno da padrone, ed ecco dunque che un mondo del genere lasciato completamente libero, non può che finire per rivolgersi alla destra più becera, che del machismo, della forza fisica e del becerume ne ha fatto un marchio di fabbrica. A causa di queste ragioni (e non solo, penso all’abbandono delle periferie da parte della sinistra) curve storicamente composte da gruppi di sinistra -penso, tra le altre, alla Roma- si sono ritrovate completamente rivestite di nero e molte curve, ancora oggi, vanno a braccetto con le formazioni d’estrema destra come Forza Nuova e Casapound. Solo negli ultimi anni la sinistra sembra aver riscoperto questo mondo, ma per riprendersi le curve ormai è tardi, meglio provare a proporre un’idea di calcio diversa e che parta dal basso.
“Il calcio è del popolo” racconta, attraverso una serie di interviste suddivise per regione, le esperienze di numerose squadre e tifoserie. Una sorta di giro d’Italia che ti ha portato a contatto con moltissime realtà diverse. A posteriori, approfondire la conoscenza di questo mondo ti ha dato solo conferme o hai scoperto anche aspetti nuovi e diversi da quelli che ti aspettavi?
Sono state tantissime le cose che ho scoperto intervistando le tante ragazze e i tanti ragazzi che sono raccontati nel libro e ogni volta che iniziavo un’intervista scoprivo qualcosa di nuovo che andava ad ampliare le mie conoscenze. Penso davvero che quello del calcio popolare sia un tesoro per questo Paese, che è malato si, ma non in fase terminale come pensavo prima di iniziare questo lavoro.
Sempre rimanendo a questo tuo imponente lavoro di mappatura, fra le molte realtà incontrate ce n’è stata qualcuna che ti ha colpito particolarmente?
Ce ne sono state diverse, proprio perché, come dicevo prima, ognuna ha le sue peculiarità e porta avanti le sue battaglie. Non riesco a dirti quali tra, solo per citarne alcune, Ardita due Mari, Spartak Lecce, San Precario, Brigata Dax, Centro Storico Lebowski mi abbia colpito maggiormente, quello che posso dire è che ciascuna delle realtà intervistate mi ha fatto scoprire cose importanti che mi hanno arricchito moltissimo
In diversi passaggi sottolinei come il fenomeno del calcio popolare negli ultimi anni in Italia si sia progressivamente ampliato. All’estero, in alcuni casi, è presente anche nelle serie maggiori (penso ad esempio al F.C. St. Pauli in Germania). Credi che in futuro questo sia ipotizzabile anche in Italia?
Negli ultimi anni in Italia le squadre di calcio popolare si sono moltiplicate e tutto fa pensare che questo trend non si fermerà ancora per diverso tempo. Si parla di categorie basse, è vero, ma è proprio partendo dal basso che le cose possono essere cambiate. Al fondo del libro vi è un’appendice dedicata ad altri tre Paesi europei (Inghilterra, Romania e Germania), realizzata grazie al preziosissimo aiuto di Nicolò Rondinelli, Damiano Benzoni e Gianni Galleri, che serve proprio per spiegare al lettore che non solo in Italia esiste questo fenomeno. Ci sono Paesi in cui si è più avanti (penso alla Germania, dove però si è più avanti proprio per statuto, visto che le società devono essere al 50% di proprietà dei tifosi) e altri in cui si è più indietro o semplicemente dove l’azionariato popolare è nato per necessità (penso alla Romania). Ma penso che in Italia si stia lavorando molto bene e che non ci sia nulla da invidiare agli altri Paesi. La prova del nove avverrà quando, e speriamo a breve, le prime realtà popolari si affacceranno nel calcio professionistico: la FIGC sarà pronta per questa rivoluzione o metterà il bastone fra le ruote di queste squadre?
Autore
Fabio Bertino