L’elezione di Jair Bolsonaro del Partido Social Liberal a presidente del Brasile è l’ultimo tassello del cambiamento mondiale in atto, l’estrema giuntura fra i desideri del capitalismo e quelli della gente comune.
Un tempo non lontanissimo la maggioranza della gente lottava per avere condizioni migliori, per un lavoro più dignitoso e che permettesse cure, studi ed uno sviluppo decente della vita, e tutto ciò lo si può chiamare come si vuole, comunismo, socialismo o anche cristianesimo. Ora la gente lotta per i propri padroni, in una brutta rievocazione della Vandea francese del 1793, dove il popolo lottava insieme ai reazionari.
In questi tempi non si lotta più per un lavoro decente, compriamo su internet contenti di spendere pochi dei già nostri magri stipendi, ben sapendo che tutto ciò è possibile grazie a qualcuno più disgraziato di noi che viene pagato poco e non ha diritti sindacali. I sindacati stessi sono diventati uno strumento padronale per pacificare le poche rivendicazioni dei lavoratori. Anzi, i sindacati tradizionalmente schierati a sinistra come la Cgil sono diventati compagni di lotta della ‘ndrangheta che rivendica i finanziamenti per il Terzo Valico e la Tav, in un delirio lavorista che consente, in nome del “diritto al lavoro”, qualsiasi tipo di devastazione dei territori.
In questo delirio psico-politico ogni tipo di rivendicazione in difesa dei territori diventa merce di scambio politico, in questi giorni la cattiva fede e l’inettitudine del Movimento 5 stelle ha svenduto anni di queste rivendicazioni e di proclami in difesa della salute e dei territori sull’altare del compromesso politico, proprio mentre la pioggia metteva in ginocchio il paese e faceva undici morti.
Quell’altare, ricoperto dei drappi della xenofobia e del populismo, e costruito con la cementificazione senza controllo, con il disboscamento estensivo, con la svendita della terra agli interessi speculativi.
Ci si calpesta l’uno con l’altro in una continua e violenta guerra contro i poveri, che non sono mai stati odiati come in questi momenti, forse perché siamo tutti ben consapevoli che non è mai stato così facile come ora diventare in breve tempo come i “barboni” che vediamo dormire in giro, vittime di una discesa sempre più veloce nelle spire del capitalismo.
Si vive di puro egoismo, si crede in Dio, Patria e Famiglia anche in un paese come il Brasile dove la multietnicità è un fattore fondante. E dove, tuttavia, il colonialismo ha segnato profondamente la coscienza collettiva e l’agire pubblico e politico: i neri sono bravi solo quando giocano a calcio, gli indios autoctoni sono trattati alla stregua di animali e la classe dirigente è quasi interamente composta di bianchi caucasici eredi dei colonizzatori. Anche lì ora, come promette Bolsonaro, le risorse naturali saranno sfruttate a più non posso.
Siamo davvero ciechi se non vediamo ciò che sta succedendo: il mondo sta crollando a pezzi. Da più di un settore scientifico, è già giunto l’aut-aut a cambiare radicalmente le nostre modalità di consumo e di sfruttamento delle risorse, pena un’estinzione di massa che prende ogni giorno più consistenza.
Forse se ci fermassimo dall’inquinare in questa maniera forse riusciremmo a non esaurire le risorse della Terra e distruggerla così presto. Peccato che chi governi il mondo stia andando proprio nella direzione opposta: il capitalismo avanzato in questa sua tarda fase opera l’attacco definitivo alle sue aree di sfruttamento e tramite i rigurgiti nazionalisti e reazionari ipoteca la possibilità di spremere al massimo il poco che rimane.
Same old story, come si dice, ed infatti i principali organi di informazione del capitale si sono prodigati negli ultimi mesi a ripulire l’immagine di Bolsonaro dai tratti più fascistoidi presentandolo come un amico dei mercati ed in certi casi diventando veri e propri sponsor come nel caso del Wall Street Journal.
Verranno al pettine, i nodi, e secondo il nuovo report del Panel Intergovernativo sul Cambiamento Climatico (IPCC) delle Nazioni Unite, succederà molto presto, in dodici anni, appena.
Dodici anni, questo il tempo che ha l’umanità per impedire di estinguersi. Passi avanti, non ne sono stati fatti; tre anni fa alla conferenza sul clima di Parigi, i potenti del mondo avevano trovato il compromesso di contenere l’aumento della temperatura entro i due gradi e di fare sforzi per limitarlo a un grado e mezzo.
La cosa che dovrebbe farci rizzare le orecchie e che anche qualora questo obiettivo fosse raggiunto, le conseguenze sarebbero disastrose: innalzamento del livello e acidificazione degli oceani con conseguente estinzione di massa della popolazione ittica, drastica riduzione della rese delle colture su scala globale, totale inabitabilità di alcune zone climatiche del pianeta e la diretta conseguenza di questi quattro primi fattori, ovvero la migrazione di milioni di persone verso le zone abitabili del pianeta.
Insomma, per darci una possibilità di sopravvivenza anche solo nell’arco di una singola generazione dovremmo azzerare le emissioni di CO2 e gas serra entro il 2050. Tuttavia, come detto, i governi vanno in una direzione completamente opposta e se quello tedesco vuole radere al suolo la foresta di Hambach per farne una miniera di carbone, l’elezione di Bolsonaro in Brasile spalanca un fronte di sfruttamento della foresta amazzonica senza precedenti. Le dichiarazione del neo-eletto presidente sono agghiaccianti in tal senso e includono la dichiarazione di voler uscire dagli accordi di Parigi, di voler eliminare il Ministero per l’Ambiente, di privatizzare le riserve indigene alle compagnie minerarie, abbassare gli standard ambientali per le aziende, bandire le ONG ecologiste dal paese.
Salvini, Orban, Bolsonaro, Trump, Duterte sono facce diverse di una stessa medaglia o meglio diversi bossoli nel caricatore dello stesso fucile, quello appunto del tardo capitalismo che accelera all’estremo il processo di privatizzazione dei profitti creando sovrastrutture informatiche su sovrastrutture finanziarie e via dicendo socializzando sempre di più solo le perdite, un bilancio pesantissimo in termini di vite umane e risorse necessarie alla sopravvivenza della nostra specie.
Forse la salvezza non è possibile, almeno rendiamogli la vita difficile.
Autore
Massimo Argo
ph. elaborazione di Paolo Gambaudo