Se stai leggendo questo articolo, probabilmente hai pensato almeno una volta di praticare “mindfulness” o conosci qualcuno che lo pratica.
Il “mindfulness” ora è di gran moda. Secondo i suoi sostenitori siamo nel mezzo di una “rivoluzione della consapevolezza”. Jon Kabat-Zinn, recentemente soprannominato il “padre del mindfulness”, arriva a proclamare che siamo sull’orlo di un rinascimento globale, e quella consapevolezza “potrebbe in realtà essere l’unica maniera per le specie e il pianeta per attraversare i prossimi duecento anni”.
Veramente? Una rivoluzione? Una rinascita globale? Che cosa è stato esattamente ribaltato o radicalmente trasformato per ottenere una così nuova condizione?
L’ultima volta che ho aperto il giornale mi è parso che la distribuzione della ricchezza fosse ancora sbilanciata, le disuguaglianze sociali a livelli record, il sovraffollamento delle carceri e le condizioni dei detenuti un reale problema sociale di cui nessuno si occupa, i porti ancora chiusi mentre muoiono migliaia di persone in mare. Mi sembrava che l’Italia inviasse ancora armamenti e facesse accordi con mercanti di morte, la demonizzazione dei poveri rimanesse all’ordine del giorno, almeno quanto la corruzione politica e le infiltrazioni mafiose in appalti pubblici, le scuole e gli ospedali soffrissero di scarsi investimenti e le conseguenze del cambiamento climatico fossero sempre più visibili anche qua, nella cara Europa.
Quarant’anni fa, Kabat-Zinn iniziò a distillare la saggezza buddista in un quadro che potesse rispondere alle preoccupazioni moderne. Originariamente progettò un breve corso per coloro che soffrivano di dolore fisico cronico. Da allora questi programmi sono stati estesi per trattare una vasta gamma di casi tra cui depressione, dipendenze e stress sul posto di lavoro. Sono stati adottati nelle scuole, nelle imprese, nei sistemi di giustizia penale, negli eserciti, nel Servizio Sanitario Nazionale, sui posti di lavoro (anche in quello di mia madre!).
Praticata nelle sue innumerevoli forme, la meditazione ha sicuramente aiutato molte persone a trattare e negoziare le profonde ingiustizie, contraddizioni e frustrazioni del mondo neoliberista. Ma il problema è che il mindfulness è una spiritualità capitalista. La forma iper-commercializzata di questa pratica – le app, i workshop, i feed di auto-aiuto e i blog – la rende semplicemente un altro oppioide, che incoraggia a rivolgere la critica verso noi stessi, aiutandoci così a diventare capitalisti migliori.
Il “mindfulness” si è fatto largo con estrema facilità nel mercato globale sotto il grande ombrello dell’ “industria del benessere”, che a livello mondiale si stima valga l’incredibile cifra di 4 trilioni di dollari. È stato accolto in maniera così favorevole dal mercato perché fa appello ad un ethos, un temperamento, altamente individualistico e imprenditoriale: si tratta di “me” e di auto-miglioramento. Cosa proporre di più accattivante in una fiorente cultura del narcisismo?
Ad affrontare questo tema e a porsi questi quesiti è lo scrittore e buddista accademico Ronald Purser, il cui libro McMindfulness: how mindfulness became a new capitalist spirituality è stato recentemente pubblicato da Repeater Books.
Purser definisce l’incapacità di vedere le contraddizioni insite in questa pratica come un tipo di miopia sociale poiché pone la responsabilità di essere “felici” all’interno dell’individuo stesso, piuttosto che tener conto di tutti gli aspetti sistemici e strutturali della società che causano malessere e che portano così tante persone ad affollare l’industria del benessere per trovare delle risposte.
Purser arriva ad affermare che non solo il mindfulness sia stato risucchiato dal mercato, diluito e mercificato ma che ora stia di fatto supportando la dannosa ideologia del libero mercato. Ci sono più di 100.000 libri su Amazon con la parola “mindfulness” o qualcosa di simile nel titolo. Il movimento ha prodotto accessori per mindfulness, mindful running, cibo mindful, attendiamo l’hamburger Crispy McMindfull.
Il padre del mindfulness afferma che la nostra “intera società è affetta da disturbo dell’attenzione, la fonte dei problemi delle persone si trova nella loro testa”. Apparentemente quindi lo stress e la sofferenza sociale non sono il risultato di enormi disuguaglianze, pratiche commerciali nefaste o corruzione politica, ma di una crisi nella nostra testa, ciò che chiama una “malattia del pensiero”.
Se sei stremato da orari inumani di lavoro, stressato dalla precarietà o ansioso per le generazioni future a causa dei cambiamenti climatici, la diagnosi è che “devi essere capace di prestare attenzione e valorizzare il momento presente”.
In altre parole, il capitalismo stesso non è intrinsecamente problematico; piuttosto, il problema è l’incapacità degli individui di essere consapevoli e resilienti in un’economia precaria e incerta. Lo stress, ci viene detto dagli apologeti del mindfullnes, è un’influenza nociva che devasta le nostre menti e i nostri corpi, e spetta a noi come individui “essere consapevoli”. Il Mindfulness è la nuova immunizzazione, un vaccino mentale che presumibilmente può aiutarci a prosperare tra gli stress della vita moderna. È una proposta seducente che ci porta ad accettare il fatto che esiste un’epidemia di stress che è semplicemente inevitabile nell’età moderna. Pensiamo a quante volte alla domanda “Come stai?” Rispondiamo “Bene, solo un po’ stressata”. Il mindfulness, la psicologia positiva e l’industria della felicità condividono un nucleo comune in termini di depoliticizzazione dello stress.
Il risultato è che qualsiasi impulso per l’organizzazione e l’azione collettiva viene, così, disabilitato e la rivoluzione non avviene nelle strade bensì nella testa di individui atomizzati.
Come sottolinea Mark Fisher nel suo libro Capitalismo realista, la privatizzazione dello stress ha portato a una “quasi totale distruzione del concetto di pubblico”.
È un crudele ottimismo che incoraggia ad accontentarsi di una passività politica rassegnata, un modo di gestire, naturalizzare e resistere ai sistemi tossici, piuttosto che orientare il cambiamento personale verso un interrogatorio critico delle condizioni storiche, culturali e politiche che sono responsabili della sofferenza sociale.
Ma nulla di tutto ciò significa che il “mindfulness” dovrebbe essere vietato o che chiunque lo ritenga utile è un illuso.
Il “mindfulness” può svolgere un ruolo legittimo nel ridurre la sofferenza individuale e nel facilitare un’azione salutare, ma è necessario sapere che ha un impatto decisamente modesto sul resto del mondo e che non deve innalzarsi a rivoluzione anche solo per rispetto di chi in Cile sta lottando contro il liberismo ortodosso, in Siria contro il fascismo Turco, ad Hong Kong contro l’ingerenza di Pechino o come i giovani che nel mondo stanno rivendicando un cambio di sistema per poter mettere un freno al surriscaldamento globale e le sue tragiche conseguenze.
Sono la partecipazione e l’impegno collettivo a produrre consapevolezza e cambiamento, quindi si, meditiamo ma attiviamoci, torniamo a prenderci cura dello spazio che viviamo e quando necessario lottiamo per cambiarlo.
Autrice
Marta Sofia