Cesare Battisti è un criminale pluriomicida? Cesare Battisti è il criminale italiano più pericoloso catturato negli ultimi anni? Cesare Battisti merita di “marcire” in carcere? Se fosse reintrodotta la pena di morte, Cesare Battisti la meriterebbe? E voi la eseguireste?
So bene che le ultime due domande ad alcuni di voi avranno fatto tremare i polsi, ma nulla ad oggi può essere scontato, e per non farsi imbambolare dal Carnevale costruito ad arte da Salvini e Bonafede all’aeroporto di Ciampino, dobbiamo interrogare anche la nostra coscienza, ma andiamo con ordine. Cesare Battisti è stato l’esecutore materiale di due omicidi: il maresciallo degli agenti di custodia Antonio Santoro e l’agente della Digos Andrea Campagna, inoltre fu complice nell’omicidio Sabbadin e contribuì a organizzare e pianificare l’omicidio Torregiani. Dalle carte processuali emerge come Cesare Battisti compì reati anche prima di scegliere la strada della lotta armata, la sua adolescenza è caratterizzata da rapine e rapporti mai chiariti con due ragazze minorenni, quindi sì, Cesare Battisti è un criminale, ed è un pluriomicida. Da un’analisi più approfondita, tuttavia non si può omettere il fatto che Battisti ha operato in un contesto storico e politico inimmaginabile dalla maggioranza delle persone che hanno esultato alla sua cattura dalla Bolivia, e la sua stessa figura non è di certo centrale nelle vicende intercorse in quegli anni. Dall’aereo Falcon 31esimo stormo non è sceso il criminale più pericoloso del secolo scorso, ma un delinquente sfuggito per anni allo Stato italiano, e trasformato ora nell’animale da sacrificare sull’altare della giustizia morale di questo governo.
Tutto preparato ad arte per trasmettere al popolo il grande evento, il compimento della giustizia: attraverso le immagini assistiamo allo spettacolo della condanna pubblica, ogni passo di Battisti sul suolo italiano è la conferma di un sentimento di sicurezza che ci avvolge, e ci facciamo giudici, esecutori, spettatori e titolari del potere di inflizione delle pene, abbiamo assistito alla vendetta di uno Stato contro una persona. I ministri dello Stato italiano hanno trasformato la pubblica opinione in masse mobilitate di spettatori, che trepidanti per il castigo, hanno sdoganato l’atteggiamento rispettoso dei principi di diritto, il garantismo, come una tendenza politica, un capriccio ideologico o un’inclinazione psicologica. Chi non ha approvato la strumentalizzazione mediatica della cattura di Battisti è stato trattato come un ennesimo sostenitore della forma nella dialettica tra formalismo e sostanzialismo. La forma -quindi il rispetto del condannato, delle procedure giudiziarie, dei suoi diritti di immagine e di personalità – in questo periodo soffocato dalla protezione ad ogni costo, è sinonimo di un lusso e ridondanza, mentre la sostanza è ciò che si doveva fare: arrestare Battisti e farlo sapere agli elettori. Ma l’arresto, l’annuncio e la presenza scenica del condannato e dei ministri non è bastata allo Stato, il ministro dell’interno ha voluto ribadire che Battisti deve “marcire” in carcere, quasi volesse monitorare la magistratura responsabile dell’esecuzione della pena. Come se applicare la sentenza a un condannato non sia il normale procedimento di uno Stato di diritto, ma l’identificazione della propria volontà politica con il principio di legalità, l’identificazione del “bravo poliziotto” nel leader politico a capo degli interni. “Marcire” in galera è l’auspicio infausto di chi pensa che la mortificazione e la punizione dei condannati debba avvenire solo tramite il carcere, dimenticandosi che la Costituzione e il rispetto anche dei poveri detenuti non è un’ipocrisia borghese, ma l’argine a un clima da gogna e forca mediatica. In poco tempo stiamo assistendo a un tramonto del rispetto del principio di umanità, anche verso il colpevole, il sentimento pubblico sta retrocedendo al pensiero della legalità senza vincoli e del linciaggio come sanzione. Allora non sarebbe inadeguato chiedersi cosa potrebbero pensare gli italiani della pena di morte come forma di esecuzione della giustizia, se nessuna lesione formale del diritto perpetrata da questi ministri non è più un tabù , forse anche la pena di morte potrebbe tornare di moda nel subconscio del clima italiota.
Autore
Andrea Sofia