Qualche tempo fa Netflix ha annunciato l’uscita di una nuova serie de “I Cavalieri dello Zodiaco” (Saint Seya). Suppongo che più o meno tutte e tutti quelli che stanno leggendo sappiano di cosa stiamo parlando. Un anime giapponese di culto, che ha segnato profondamente la mia generazione nell’immaginario con i suoi personaggi dalla caratterizzazione leggendaria, la narrazione epica e soprattutto uno spessore psicologico molto ben delineato, complesso e, nella tipica tradizione del fumetto e dell’animazione giapponese, non poggiato su stereotipi tipici.
Tanti pomeriggi degli anni 80 e 90 sono stati segnati dall’epico scontro dei 5 cavalieri di bronzo per sconfiggere i nemici in armatura d’oro, liberare Atena e spezzare l’incantesimo di Nettuno.
Negli anni duemila, il franchise è stato più volte riproposto, con risultati altalenanti. All’inizio il nome Netflix ha fatto ben sperare, anche alla luce dell’ottimo Devilman Crybaby (altro adattamento di un celebre personaggio giapponese di Go Nagai), tuttavia, il team creativo composto quasi unicamente da americani, la decisione di utilizzare la computer grafica (cgi) rivelatasi peraltro abbastanza scarsa dalle immagini del primo trailer hanno fatto crollare le aspettative.
Poi, l’annuncio più controverso e assurdo, l’annuncio che va a cambiare radicalmente la storia principale: Shun di Andromeda è stato banalmente trasformato in una donna.
Andromeda era il mio personaggio preferito.
Come già detto, un punto di forza della serie (e del fumetto giapponese in generale) è la caratterizzazione psicologica della personalità dei protagonisti. Shun di Andromeda è appunto un personaggio complesso. Armatura rosa, come il colore della galassia di cui porta il nome, dall’aspetto fortemente androgino e dai modi gentili, il suo approccio alla violenza è peculiare di un guerriero tormentato: Andromeda odia la violenza, è ad essa eticamente contrario e quando combatte lo fa senza la volontà dello scontro.
L’importanza culturale di un personaggio come Shun di Andromeda è proprio quello di non corrispondere ad un modello di mascolinità stereotipato: il guerriero forte, violento, senza paura, sicuro di sé e della sua battaglia.
La complessità di una figura tanto importante per l’intreccio della storia rende molto interessante il dipanarsi dei rapporti interni al gruppo dei personaggi principali ed ai conflitti interiori dello stesso Shun, con una naturalezza ed una linearità dettate dal contesto culturale nel quale la trama è stata scritta – quello giapponese -; la commistione di tratti tipicamente femminili con una corporeità maschile, presenti peraltro in altri personaggi della serie con per Hyoga del Cigno (Cristal nella serie italiana), dipana uno spessore psicologico narrativamente interessantissimo e complesso che evidentemente, non è di facile gestione per gli scrittori americani.
A tale proposito lo sceneggiatore Eugene Son ha giustificato così la decisione del cambio di sesso di Shun di Andromeda:
“La responsabilità è mia. Quando abbiamo iniziato a sviluppare questa nuova versione, volevamo cambiare molto poco. I punti cardine di Saint Seiya fanno sì che sia così amato, e sono forti. La maggior parte regge bene anche dopo trent’anni. Però una cosa mi preoccupava: i Cavalieri di bronzo al fianco di Seiya Pegasus sono tutti maschi. La serie ha sempre avuto dei personaggi femminili fantastici, forti e dinamici, e ciò si riflette nell’enorme numero di donne appassionate al manga e all’anime di Saint Seiya. Ma trent’anni fa non era un grosso problema che in un gruppo di ragazzi intenti a salvare il mondo non ci fossero ragazze. Oggi il mondo è diverso. È normale che ragazzi e ragazze lavorino fianco a fianco. Giusto o sbagliato, il pubblico avrebbe visto un gruppo di soli uomini come una dichiarazione di intenti.
Non volevo creare un nuovo personaggio femminile che risaltasse perché innaturale, specie se la sua personalità fosse stata quella di ‘essere la ragazza’. Poi abbiamo discusso di Andromeda. Siamo tutti d’accordo – è un personaggio grandioso. ”
Insomma volendo cambiare un personaggio, guarda caso la scelta è ricaduta proprio su quello più complesso in ambito di identità di genere; cambiando il sesso di Shun, che diventa “Shaun”, viene così “corretto” un personaggio praticando un’azione coatta e, a mio modo di vedere, violenta in senso sessista.
Da indiscrezioni trapelate dallo stesso Son pare che la nuova “Shaun di Andromeda” sarà un personaggio femminile ulteriormente trasformato e plasmato sui modelli occidentali di femminilità “forte”, quindi non ci saranno riferimenti all’odio verso la violenza, al combattere solo in casi estremi: Shaun sarà una donna forte, determinata e combattiva, insomma un altro personaggio archetipico costruito sulla necessità tutta occidentale di una femminilità commerciabile.
Un fallimento su due fronti: da un lato la correzione omofobica del gentile e tormentato androgino Shun, dall’altro il sessismo grossolano della nuova “Shaun”, l’ennesimo personaggio femminile di “tipa dura e pura” di cui non se ne sentiva il bisogno dato che permea l’immaginario narrativo dell’eroina all’incirca dal 1970.
Un trionfo di semplicismo sessista legato alla necessità, per la drammaturgia occidentale e mainstream, di semplificare all’estremo argomenti potenzialmente controversi per il pubblico consumista americano ed europeo. Decisione che snatura un personaggio incredibilmente affascinante e complesso e di fatto scorpora la possibilità di una riflessione sulla fluidità dell’identità di genere, consegnando all’omologazione concetti complessi di argomenti, nonostante la facciata utraliberale, comunque invisi alle produzioni occidentali.
Peccato.
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